C’È TROPPA CONFUSIONE DI GENERI

Giornalisti che si danno all’intrattenimento, documentaristi che piazzano spezzoni di fiction all’interno delle loro inchieste, comici che si piccano di fare informazione, soubrette ospitate di continuo nei programmi di approfondimento, spettacoli di varietà che diventano eventi mediatici dando spazio alla politica, uomini politici più propensi a mostrare il loro «lato umano» nelle trasmissioni popolari anziché in Parlamento. Ha senso parlare ancora di «generi televisivi» nella tv di oggi? Esempi alla mano, ha sempre meno senso. Non a caso la cosiddetta contaminazione dei generi, che in termine tecnico si chiama ibridazione e in gergo più spiccio potremmo definire «confusione dei generi», si nutre di nuove espressioni: sempre più spesso sentiamo parlare di docufiction (documentario mischiato alla fiction), di infotainment (informazione legata all’intrattenimento), di contenitori televisivi dove i paletti tra le differenti competenze professionali si fanno sempre più labili e i confini tra i diversi argomenti trattati e il modo in cui vengono affrontati risultano sempre meno riconoscibili. Di ibridazione dei generi si è fatto cenno nella puntata di Porta a porta dedicata ancora una volta a Rockpolitik (giovedì su Raiuno, ore 23,50), ed è una delle prime volte in cui si comincia se non altro a evocare un dato di fatto incontestabile e sovente sconcertante, ben visibile nella nostra televisione, sul quale occorrerebbe interrogarsi per capirne le cause e prevederne i possibili sviluppi. C’è il fondato sospetto che questa ibridazione dei generi televisivi abbia origine da almeno due fattori: da un lato lo sviluppo della concorrenza televisiva, del numero di canali e trasmissioni, della galoppante incidenza dell’Auditel sulle scelte editoriali. Il che comporta la necessità di trovare nuove formule spettacolari quanto più accattivanti possibili per distinguersi e catturare l’attenzione del pubblico, sorprendendolo (almeno inizialmente) con l’innesto di formule innovative all’insegna della vivacità e dell’impatto mediatico, anche se a volte a scapito della serietà, del rigore professionale e spesso del buon senso. A questa prima causa se ne aggiunge almeno un’altra connessa alla facilità con cui si possono oggi commettere «invasioni di campo» tra i vari generi. È chiaro ad esempio come un giornalismo pigro e poco coraggioso lasci libero il campo a inchieste condotte da programmi come Striscia la notizia o Le Iene, che finiscono per esercitare un ruolo di supplenza informativa.

Così come la smania di visibilità televisiva della politica presta facilmente il fianco al contropiede di quelle trasmissioni abili nello sfruttarne il fibrillante riflesso mediatico al fine primario di aumentare gli ascolti.

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