L’idea nacque la sera del venti dicembre. Faceva freddo a Torino e Gigi Buffon, dotato di paletot e guanti, batteva i denti, pur accomodato nel palco di tribuna, mentre i suoi colleghi della Juventus e quelli del Milan correvano nel gelo dello stadio: «Ma come è possibile giocare a quest’ora in una città del nord?». Buffon passò dal pensiero all’azione, telefonò a un paio di amici, tipo Doni, capitano dell’Atalanta bergamasca calcio, e prese corpo l’idea di creare un nuovo sindacato calciatori, qualcosa che tutelasse, finalmente, i diritti non di tutti ma di quelli, fra tutti, che garantiscono lo spettacolo, i veri attori dell’azienda football, i protagonisti.
Ieri a Milano l’idea è stata presentata con tutti i suoi personaggi e interpreti, i soci fondatori, Buffon, Doni, Biondini - assenti giustificati Del Grosso e Guana - il presidente del nuovo movimento, il professore Piero Gualtieri, docente di Diritto processuale penale a Urbino, già presidente della Camera Penale di Romagna, e Vittorio Feltri nelle vesti di tifoso e di garante per la comunicazione, chiamato a far parte del consiglio direttivo del movimento. Al quale hanno già aderito calciatori della Lazio (Mauri, Brocchi, Floccari e forse Zarate), della Juventus, del Milan, della Samp, del Cagliari, il numero è cresciuto a quaranta unità ma, secondo i primi sondaggi, è destinato a rappresentare definitivamente tutto il mondo professionistico: «Ma non vogliamo fare mercato. E rispettosamente aspettiamo la legittimazione di Lega e Federazione».
Nasce un altro sindacato? Aggiunge confusione? Protegge i privilegi? Negativo, il presidente Gualtieri ha illustrato il progetto e la strategia: «L’Assocalciatori si è dimostrata impreparata nel confronto con la controparte, il calcio ha nuove esigenze, nuova dimensione, un fatturato importante. Noi vogliamo trasformare i calciatori da soggetti passivi a figure presenti nei vari organi istituzionali. La sfida è l’accordo collettivo che dovrà avere un respiro europeo, per un’uguale fiscalità per tutti i tesserati. La sfida è l’abbattimento dei tornelli, delle barriere per riportare le famiglie negli stadi, la sfida è togliere dagli stessi stadi la polizia in tenuta di antisommossa. La figura del calciatore, ricco e privilegiato, va rivalutata, i pregiudizi nei confronti degli ingaggi di chi ha una carriera comunque breve scompaiono quando si parla e si scrive di attori, cantanti, showman con un arco temporale ben più lungo. Dobbiamo occuparci della tutela dell’integrità fisica, dobbiamo svolgere indagini per capire le cause dei continui infortuni e dei faticosi recuperi, dobbiamo occuparci dei calendari logoranti, i metodi di allenamento ma, al tempo stesso, anche il comportamento scorretto di alcuni tesserati, gli atti violenti che scatenano la reazione della parte più aspra del tifo. Vorremmo un rapporto migliore con la classe arbitrale, una comprensione che certe reazioni sono anche conseguenza di stress nervoso. Vorremmo più spazio ai giovani italiani, soprattutto per il lavoro delle nazionali, vorremmo infine un rapporto paritario con Lega e Federcalcio, nel rispetto reciproco. Non entriamo nella trattativa in corso, sarebbe scorretto venir meno all’unità della categoria, indebolendola nei confronti della controparte pronta ad approfittarne».
Letto il progetto si va all’azione. Il nuovo sindacato non è favorevole alla «minaccia di sciopero», lo ha confermato Cristiano Doni: «Ci sono altre strade, altri passaggi prima di arrivare a soluzioni così estreme. Abbiamo molte idee e facciamo opera di proselitismo ma non possiamo pensare di essere ancora passivi dinanzi a decisioni che riguardano il nostro lavoro». La posizione è chiara e Biondini l’ha illustrata con gli esempi: «Giocare e mezzogiorno, con un caldo feroce come è capitato a noi a Bari, è una idiozia, ma nessuno ci ha consultati, nessuno ha chiesto il nostro parere così come nessuno ha pensato di interpellarci sulla presenza delle telecamere negli spogliatoi.
È andata a finire che molti la respingono, vanno in sala massaggi, ritardano il riscaldamento. Non possiamo stare zitti sempre e accettare disposizioni da chi ha poca esperienza calcistica». Buffon (nella migliore uscita della sua stagione jellata) ha messo il timbro: «Non veniamo mai presi in considerazione quando le istituzioni prendono decisioni calcistiche ed economiche. Non siamo più quelli che sbagliano i congiuntivi e mettono con fatica tre vocaboli assieme.
È stata una violenza inaudita leggere la serie di proposte regolamentari avanzata senza che noi sapessimo nulla. Qui servono le teste e non le facce».È soltanto l’inizio di una partita, non di una battaglia. Il calcio di nuovo ai calciatori, come accade con Michel Platini all’Uefa, senza dimenticare il gioco e il pallone.
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