Arabia Saudita, non è tutto oro quel che luccica

Appena terminato il primo turno della rinnovata Pro League saudita, nuovo Eldorado del calcio moderno, possiamo esaminare l'ambizioso esperimento della famiglia reale saudita che attraverso il pallone vuole trasformare completamente il paese

Arabia Saudita, non è tutto oro quel che luccica

Ci siamo appena messi alle spalle il primo weekend della nuova Mecca del calcio miliardario, la Pro League saudita, destinazione preferita da campioni più o meno stagionati a caccia di una cospicua iniezione ai propri conti correnti. Ancora troppo presto per capire se si tratterà davvero di una minaccia per gli equilibri del calcio mondiale o se sarà solo una costosissima operazione di pubbliche relazioni per la monarchia wahabita, alle prese con una serie di problemi sociali e legati ai diritti umani. Se si moltiplicano le voci su nuovi assalti ai grandi campioni delle top d’Europa, possiamo esaminare di cosa stiamo parlando, come si svolgerà questo nuovo campionato e se potrà avere migliore fortuna delle altre leghe che, non troppi anni fa, fallirono nel tentativo di entrare nell’esclusivo club del calcio che conta.

Cristiano e Karim, ancora insieme

Ad aprire le porte del nuovo Eldorado del calcio ci aveva pensato, lo scorso dicembre, uno dei massimi protagonisti dell’universo pallonaro, Cristiano Ronaldo. Molti ironizzarono quando accettò la mostruosa offerta arrivata dal campionato saudita, che gli mise a disposizione uno stipendio davvero fuori misura. Invece di un triste ultimo capitolo di una carriera forse irripetibile, qualcuno inizia a chiedersi se CR7 abbia fiutato il vento prima di tanti altri. Da quando è arrivato, il flusso di campioni verso la Roshn Saudi League è diventato un fiume in piena. Otto mesi dopo nella capitale saudita sono arrivati compagni di squadra che avrebbero fatto ottima figura nelle formazioni di molte pretendenti alla Champions League, dall’ex interista Marcelo Brozovic all’ex Liverpool e Bayern Monaco Sadio Mané. Se molti sono in là con l’età, ci sono anche talenti con ancora parecchi anni buoni nel serbatoio, attirati ovviamente dalle “proposte indecenti” del calcio arabo.

benzema esperance al ittihad 2023 ANSA

Le due stelle più lucenti di questo nuovo campionato sono l’ex bianconero e il Pallone d’Oro in carica, quel Karim Benzema che è stato l’assoluto protagonista della scintillante cerimonia di apertura vista a Jeddah, il cuore economico e commerciale del regno, lo scorso lunedì. Oltre agli immancabili fuochi d’artificio, si sono visti i tre giocatori più rappresentativi delle 18 squadre del nuovo campionato, oltre agli allenatori. Le parole del campione transalpino sembrano scritte da uno spin doctor: I giocatori locali sono giovani, forti e ambiziosi. Noi siamo qui per aiutarli a migliorare per far crescere tutti insieme questo campionato”. La partita che gioca l’ambiziosa Rsl è a due facce, una rivolta al mondo arabo, una al resto del pianeta. Sui giornali di lingua araba in prima pagina l’immagine di Benzema, musulmano osservante, mentre visita la Mecca per compiere una delle cerimonie chiave della fede islamica. Per tutti gli altri, invece, bastano e avanzano i post di CR7 sui suoi seguitissimi profili social.

Un campionato artificiale?

La cosa che fa sollevare più di un sopracciglio è che il cambio di marcia quasi brutale, è stato imposto dall’alto, come è forse inevitabile in un paese dominato da una monarchia autocratica, dove niente si muove se la famiglia reale non vuole. Il segnale è arrivato da Mohammed bin Salman, principe ereditario nonché primo ministro, l’unico che ha in mano le chiavi del ricchissimo fondo sovrano, il famigerato Pif, che sta seminando il panico nel mondo del pallone. Il principe si è messo in testa di rivoltare il paese come un calzino, trascinandolo nel 21° secolo: un esperimento provato a suo tempo da un altro sovrano assoluto, lo Scià di Persia Reza Pahlavi. Non finì benissimo ma le cose, ovviamente, sono diverse in questo caso, visto che la famiglia reale controlla in maniera assoluta anche l’aspetto religioso. Il reportage pubblicato qualche giorno fa dalla Gazzetta dello Sport dipinge una frenesia tanto assoluta quanto artificiale, diretta in tutto e per tutto dall’alto.

Mohammed bin Salman luglio ANSA

Il principe ereditario si è guardato intorno e ha ordinato d’imperio un cambio di passo in una serie di ambiti tra i più disparati per riuscire in un’impresa considerata da molti quasi impossibile: recuperare i decenni di ritardo accumulati nei confronti delle monarchie rivali del Golfo Persico, dagli Emirati Arabi a quel Qatar con il quale gli scontri, dietro le quinte, sono all’ordine del giorno. Le autorità sono ansiose di mostrare a tutti quanto il paese stia cambiando e, in effetti, l’Arabia retrograda, immobilista, ricchissima solo di soldi sta diventando un ricordo lontano. Invece della farraginosa burocrazia di non molti anni fa, il visto si richiede online e ti arriva in pochi minuti direttamente sul telefonino. Le donne, che fino a pochi anni fa non potevano guidare o lasciare l’abitazione del marito se non accompagnate, sono incoraggiate ad entrare nel mondo del lavoro ed hanno addirittura un campionato di calcio nel quale giocare, sempre in ossequio alle leggi della sharia. In un paese dove metà della popolazione ha meno di 30 anni, quasi nessuno pratica sport, visto che nella cultura araba lo sforzo fisico è considerato roba da servi.

Al Nassr Super Cup gennaio ANSA

L’immagine che dipinge la Federcalcio saudita sembra presa dal libro dei sogni: Qui nessuno faceva sport, lo guardava in tv e se sceglieva di vedere qualcosa dal vivo aveva i mezzi economici per viaggiare. Oggi la popolazione è in movimento, a tutti i livelli, e le stelle del calcio che prima si andavano a vedere in Inghilterra, in Italia o in Spagna ora sono qui, nei nostri stadi”. Le cose, in realtà, sono parecchio più complicate.

I dubbi non mancano

A parte le ragioni culturali, c’è una motivazione molto concreta dietro alla riluttanza dei giovani sauditi a dedicarsi allo sport: il caldo è feroce, con picchi di umidità inaspettati, visto che siamo nel mezzo del deserto. Chi ha avuto la disavventura di dover lavorare per qualche tempo nei paesi del Golfo Persico fatica ad immaginarsi come facesse la gente a combinare qualcosa prima dell’invenzione dell’aria condizionata. La situazione migliora relativamente da settembre ad aprile ma non è inconsueto che si superino i 30 gradi anche in pieno inverno, anche di sera. Le squadre saudite vengono in ritiro in Europa e giocheranno prevalentemente dopo le 21 locali ma negli stadi dove non è presente l’aria condizionata la situazione potrebbe degenerare in fretta. Viene da domandarsi, quindi, se il gran caldo convincerà molti spettatori a guardarsi le partite del campionato sul divano, davanti al condizionatore.

Al Nassr tifosi gennaio ANSA

I dati resi pubblici dalla federcalcio saudita parlano di crescita quasi verticale, all’insegna del trionfalismo più sfrenato. Oltre due milioni di spettatori sembrano tanti ma se li dividiamo tra 16 squadre e centinaia di partite, la media non è affatto rassicurante: meno di 10000 a partita. La crescita rispetto al 2021 è dell’11% ma bisogna anche considerare l’effetto Ronaldo che ha drogato questi risultati. L’Al Nassr di CR7, infatti, ha visto più che raddoppiare gli spettatori mentre l’Al Ittihad ha riempito lo stadio più grande del paese quando ha festeggiato il titolo di campione d’Arabia. Le partite in provincia, invece, vedono pubblico che alle nostre latitudini troviamo nei campionati dei dilettanti, poche centinaia di spettatori. Quest’anno l’Al Ahli, seguitissima squadra di Jeddah, è tornata in prima divisione e con l’arrivo di così tanti campioni il record sarà sicuramente battuto. Per non saper né leggere né scrivere, però, il governo ha imposto prezzi popolari: i posti migliori si pagano 100 rial, poco meno di 24 euro. L’abbonamento valido per vedersi tutte le partite casalinghe di CR7 e soci va via a prezzi davvero stracciati, poco più di 500 euro per i posti migliori. Basterà per evitare l’effetto “stadio vuoto”, temutissimo dai broadcaster internazionali?

Una scommessa miliardaria

Non male per un campionato nato solo nel 1976 e salito solo quest’anno a 18 squadre. Nessuno si aspetta che la lotta per il titolo vada oltre ai quattro club più seguiti, nazionalizzati coi soldi del fondo Pif e distribuiti equamente tra le due più importanti città del paese: Al Nassr ed Al Hilal a rappresentare la capitale Riyadh, Al Ittihad ed Al Ahli a portare la bandiera di Jeddah. La trasformazione del campionato è arrivata però con costi davvero sproporzionati, roba da far rabbrividire anche Paperon de’ Paperoni. Gli stipendi di Benzema e Ronaldo, 100 e 200 milioni a stagione, esentasse, fanno notizia ma i capitali investiti in questa sessione di mercato sono spaventosi, abbastanza da mettere a rischio la supremazia dell’Al Hilal, squadra più titolata con 18 campionati e 4 Champions League asiatiche. Visto che noblesse oblige, la squadra della capitale ha speso più di tutti: 178 milioni di euro fino a pochi giorni fa, numero che potrebbe crescere parecchio da ora al 20 settembre quando, tre settimane dopo il resto dei campionati europei, il calciomercato saudita chiuderà i battenti. Il Chelsea la scorsa stagione aveva speso molto di più, ben oltre 500 milioni, ma i sauditi stanno operando in maniera più oculata: meno cartellini super-costosi, più stipendi miliardari per ingolosire giocatori in rotta coi propri club.

Kessie Barcellona Real Madrid ANSA

La cosa, ovviamente, ha fatto andare su tutte le furie i campionati europei, guidati dalla Premier League, che per la prima volta da molti anni deve iniziare a guardarsi le spalle. Nonostante abbia speso più di 300 milioni in Italia finora, non sono pochi gli obiettivi dei club inglesi ad aver rimandato al mittente le offerte ricevute per accasarsi in Arabia. Si mormora che le grandi d’Inghilterra stiano facendo pressing sulla Fifa per impedire che il corteggiamento dei club della Pro League continuino anche a mercato chiuso, prospettiva non del tutto peregrina. La cifra complessiva investita solo per i cartellini dei giocatori non è indifferente: più di 400 milioni di euro, un totale che ha già fatto salire il campionato saudita al quinto posto tra i più spendaccioni al mondo. Aggiungete poi gli stipendi fuori mercato promessi ai campioni e l’investimento complessivo supererà di slancio il miliardo di euro, non certo spiccioli anche per la ricchissima famiglia reale saudita. Le prime risposte arriveranno a breve, quando si sapranno gli ascolti delle partite di questo campionato nuovo di pacca trasmesse a giro per il mondo. La scommessa è ambiziosa ma nel calcio investire tanto non vuole affatto dire ottenere risultati al top. Chiedere al Paris Saint-Germain per referenza.

Tante ombre e problemi

La partita giocata dalla famiglia reale saudita è molto più complessa e parte di un processo pluridecennale di riforma e rinascita di un paese sclerotizzato da sempre, bloccato da un tessuto sociale frammentato e drogato dall’immenso afflusso di capitali dovuti al commercio del petrolio. L’obiettivo primario è piuttosto chiaro: aumentare il profilo internazionale del paese quanto basta per garantirsi l’organizzazione di tornei importanti, prima di tutto la Coppa del Mondo di calcio del 2034, tanto per rendere pan per focaccia ai poco amati cugini del Qatar. L’ambizione fa eco a quella espressa a suo tempo dal potentissimo segretario del Partito Comunista Cinese, che non molti anni fa aveva proclamato solennemente che la Cina sarebbe diventata una superpotenza anche nel calcio. Com’è andata a finire lo sappiamo tutti: una volta resosi conto che i massicci investimenti non avevano trasformato la Super League nella dominatrice del calcio non mondiale ma nemmeno asiatico, l’inversione ad u, la chiusura dei rubinetti e l’implosione della bolla. Le differenze non mancano, dato che l’Arabia Saudita ha una buona tradizione calcistica, squadre con tifoserie appassionate e molto numerose, come dimostrato dalla prova della nazionale saudita, che in Qatar riuscì a battere l’Albiceleste di Messi e Lautaro Martinez.

Arabia Saudita Argentina Qatar 2022 ANSA

L’attacco concentrico al calcio che conta è partito qualche anno fa, quando si sono convinte a suon di milioni le federazioni italiane e spagnola a giocare in Arabia le rispettive supercoppe, rivedute ed allargate per fornire un paio di partite in più. Il mondiale per club allargato, quello che nelle intenzioni della Fifa dovrebbe togliere il proscenio alla Champions League, si terrà proprio in riva al Golfo Persico il prossimo dicembre. L’attivismo non si limita al calcio, con pesanti investimenti finiti negli sport più disparati, dalla Formula 1 al golf, dal cricket agli sport invernali, presenza davvero aliena a queste latitudini. Aperture come il campionato femminile di calcio sono benvenute ma le organizzazioni umanitarie non mancano di sottolineare come i crimini contro i diritti umani commessi dallo stato saudita siano una moltitudine. Il fenomeno non è nuovo ed ha un nome ed un cognome: sportswashing, usare lo sport per far dimenticare le montagne di scheletri, veri o figurati nascosti nel proverbiale armadio. La tortura è normale da queste parti, gli attivisti sono soliti svanire nel nulla e qualunque cosa assomigli anche lontanamente al proselitismo religioso viene punito con severità draconiana.

Al Ahli pubblico 2019

Belli gli stadi nuovi di pacca, belle le squadre piene di campioni, belli i ricchi assegni offerti alle grandi d’Europa ma è solo un velo sottile che dovrebbe nascondere un lato oscuro non trascurabile, come i mai risolti legami con il terrorismo islamico ed il movimento jihadista in generale. Il calcio arabo è anche sulle nostre televisioni, ogni settimana, in diretta o in differita su La7 e organizzazioni come Amnesty International iniziano già a protestare.

Serviranno a rovinare i piani della famiglia reale o si continuerà a tirare dritto come niente fosse, visto che pecunia non olet? Nessuno può saperlo ma sarà sicuramente interessante vedere come si declinerà questo ambizioso tentativo nella realtà. Ci auguriamo di cuore che il meteo non infierisca: se si dovesse rompere l’aria condizionata, sarebbe una mezza tragedia.

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