Casa Agnelli. La triste saga dei due cugini

Lo Spare di Torino è simile al principe di Londra. Entrambi vivono all'ombra del re e si rifugiano in esilio privilegiato

Casa Agnelli. La triste saga dei due cugini
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Lo Spare di Torino è simile al principe di Londra. Entrambi vivono all'ombra del re e si rifugiano in esilio privilegiato. Andrea Agnelliè la riserva di John Elkann, da cugino presidente è diventato un congiunto senza titoli, le storie acide della Juventus gli hanno concesso onori, gloria e tribune d'onore ma infine tribunali e vergogna contabile. Il football manda gambe all'aria la dinastia che ha fatto la storia di Torino e dell'Italia. «Don't forget, you are an Agnelli» sussurravano le tate ai pargoli dell'illustre famiglia. Qualcuno ha dimenticato di essere un Agnelli, al di là del cognome all'anagrafe. Primi segnali di fumo grigio nel periodo peggiore della Fiat, era il duemila e cinque, si temeva il fallimento, le banche esigevano la restituzione del dovuto, in caso contrario avrebbero preso le chiavi della ditta, quando il giovane Andrea concesse interviste varie ai fogli con questa idea rivoluzionaria: «... Va benissimo far entrare codeste banche, è l'occasione giusta per cambiare capitolo, per creare una public company all'americana». Apriti Fiat, immediata la reazione del giornale di famiglia, La Stampa, mette in ordine le pedine sulla scacchiera:

Andrea parla a titolo personale, il suo ruolo è quello di «stagista» nell'azienda.

Lo Spare si siede in panchina e attende di poter realizzare il sogno, la sua passione è la Juventus, l'ha studiata con il padre Umberto e l'ha imparata con l'ad del club Antonio Giraudo. John Elkann gli regala il giocattolo e lui lo confeziona con il fiocco di nove scudetti, due finali di Champions, premi minori ma il dono comporta costi esagerati, i membri della dinastia faticano a garantire aumenti di capitale, si sfiora il miliardo, interviene la procura, la situazione precipita, John Elkann pubblicamente tutela il parente ma ha ormai capito che sia indifendibile, le dimissioni arrivano «sua sponte coacta», Andrea esce non soltanto dalla Juventus ma tutti gli altri incarichi del gruppo, da Exor in giù, vende al cugino anche la quota del 3% per 300 milioni, si trasferisce in Olanda, Elkann non riserva più parole, deve fidarsi di quello che Andrea continua a dire, sulla correttezza della gestione finanziaria e sull'equilibrio dei conti. La vicenda della superlega finisce per svergognare a livello internazionale il solo Andrea Agnelli, i due soci di cordata, Perez e Laporta si nascondono nel canneto. L'Ingegnere individua in Cristiano Giuntoli l'uomo garanzia della Juventus, non accenna a Massimiliano Allegri ultimo sopravvissuto del

regno caduto, aspetta che gli eventi precipitino a Roma e liquida il dipendente assunto dal cugino a 7 milioni di euro netti all'anno per stagioni quattro più premi eventuali. In contemporanea lo Spare scrive un tweet che è un ossimoro, definisce il licenziato dotato di superbia e umanità che si fondono continuamente. Hai rappresentato essere Juventus con ogni tuta cellula». Alla faccia del precedente comunicato del cugino titolare dell'azienda che aveva spiegato l'esonero del dipendente «per comportamenti non compatibili con i valori della Juventus e con il comportamento che deve avere chi la rappresenta». Piccoli screzi tra parenti serpenti, disperazione infantile dell'ex presidente in esilio, pugno fermo del padrone dell'impresa.

La commedia non è finita, c'è un processo penale da affrontare, c'è un presente da difendere e un futuro da disegnare. Le ultime scene hanno cancellato anche il passato. Come nel 2005, si potrebbe riscrivere «Andrea Agnelli parla a titolo personale».

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