José Mourinho compie 60 anni: perché il suo soprannome è Special One?

Il tecnico di Setubal compie 60 anni e, tra alti e bassi, continua a rimanere un caso unico nel panorama del calcio mondiale. Le tante curiosità, le leggendarie battute in conferenza stampa, le polemiche, le squalifiche e tutto sull'universo Mourinho

José Mourinho compie 60 anni: perché il suo soprannome è Special One?

Sembra ieri quando arrivò per la prima volta in Italia, chiamato a guidare l'Inter nella rincorsa alla tanto sospirata coppa dalle grandi orecchie. Il tempo passa per tutti, anche per chi non riesce a dire due parole senza generare una qualche polemica. José Mourinho compie oggi 60 anni e lo farà come al solito preparando la prossima partita, come fa fin da quando, tanti anni fa, si ritrovò quasi per caso a fianco di Bryan Robson come interprete. Di passi, lo Special One ne ha fatti davvero tanti, dando vita a leggende metropolitane, racconti più o meno verosimili ed una selva sterminata di aneddoti. Per celebrare il compleanno del tecnico lusitano vi accompagneremo nello straordinario mondo di José da Coimbra, uno degli allenatori più controversi della storia del calcio.

Qual è il soprannome di Mourinho?

Tra i giornalisti sportivi è diventato quasi impossibile evitare di chiamare il tecnico della Roma con il soprannome che ne è diventato quasi sinonimo ma non sono moltissimi a ricordare come sia nata questa definizione certo non all’insegna della modestia. Ancora meno ricordano come sia stato proprio il portoghese ad inventarselo, proprio nella sua prima conferenza stampa allo Stamford Bridge, nel lontano 2004, quando prese per la prima volta la guida del Chelsea. La ricezione che gli riservò la feroce stampa sportiva inglese non fu delle migliori, nonostante arrivasse nella Premier League dopo l’inusitata vittoria della Champions League con il suo Porto. Quando gli chiesero se si sentisse pronto per il campionato inglese, la sua risposta fu quasi sprezzante: "Noi mi date dell’arrogante ma sono campione d’Europa e penso di essere uno Special one". Come sarebbe successo così tante altre volte in futuro, la stampa partì lancia in resta contro il lusitano, scagliandosi contro di lui a corpo morto. I risultati con i Blues nelle prime due stagioni costrinsero parecchi colleghi inglesi a rimangiarsi queste critiche.

Jose Mourinho

Qualche anno dopo, quando tornò con decisamente meno successo alla corte di Roman Abramovich, Mourinho rivelò il retroscena di questo famoso soprannome a Sky Sports: "Pensai... 'ma come, arrivo qui dopo aver vinto la Champions e mi dite che non sono nessuno?', per questo risposi in maniera aggressiva, dicendo che non ero l’ultimo arrivato ma uno speciale. Il soprannome mi è rimasto attaccato ma non mi dispiace troppo". Il nome gli si ritorse contro quando Klopp si insediò ad Anfield Road nell’ottobre 2015, cogliendo l’occasione di lanciare una frecciatina nei confronti di Mou: "C’è qualcuno che pensa che possa fare dei miracoli? No, quindi lasciatemi lavorare, sono un tizio normale che viene dalla Foresta Nera, non sono niente di speciale. Se vi va, chiamatemi il normal one". Insomma, Mourinho riesce a fare polemica anche quando non è presente – un talento non indifferente.

In che ruolo giocava Mourinho?

Il rapporto tra il tecnico della Roma e quello del Liverpool è stato più volte segnato da battibecchi a mezzo stampa, come quello nel quale Klopp invitò i giornalisti presenti in sala stampa a cercare su Google in che posizione avesse giocato Mourinho, visto che nessuno lo sapeva. In realtà, c’è una spiegazione molto semplice: il portoghese ha provato a farsi strada nel mondo del calcio ma senza riuscire a combinare molto. Non era una questione di posizione quanto di mancanza di talento o di doti fisiche particolari. Nonostante l’aiuto del padre, tecnico del Rio Ave ed ex giocatore del Belenenses, non riuscì mai a sfondare. Nel 1982 arrivò nel club come giovanissimo centrocampista ma vide pochissimo il campo. L’anno dopo, ad appena vent’anni provò a passare ad una squadra meno ambiziosa, il Sesimbra, ma aveva già capito che il suo futuro non l’avrebbe costruito con gli scarpini ai piedi.

Mentre stava studiando educazione fisica all’università, continuò a giocare in un club della sua città, Setubal, il Comercio e Industria, ma più come un passatempo che per altro. Alla tenera età di 23 anni decise di lasciar perdere ma di non abbandonare il mondo del calcio. In un’intervista di parecchi anni commentò la sua non illustre carriera da calciatore. "Sono uno piuttosto intelligente, capii subito che non avrei mai fatto strada nel calcio. La seconda divisione era il livello giusto per me". Molto meglio seguire le orme del padre come scout prima ed allenatore poi, per le quali sentiva di essere più portato. Direi che, visto i risultati, il giovane José ci aveva visto giusto.

José Mourinho

Le tante squalifiche di Mourinho

I rapporti quantomai turbolenti del tecnico portoghese con i fischietti e, in generale, con i poteri forti del calcio sono diventati quasi leggendari, tanto quanto le sue uscite niente affatto estemporanee che lo fanno finire spesso e volentieri nel taccuino dei cattivi. Ormai sono quasi più le partite che lo Specialone segue dal suo van super-moderno di quelle che vede in panchina, tanto che è parecchio difficile anche fare il conto delle giornate di squalifica rimediate dal lusitano nella sua lunghissima carriera. Se spesso e volentieri è stato punito per le stesse dichiarazioni che infiammano la tifoseria e, magari, verranno più avanti trasformate in cori o modi di dire, a partire dal leggendario "zeru tituli" del 3 marzo 2009, talvolta invece Mou è finito nei guai per comportamenti ancora più discutibili. Memorabile la squalifica che rimediò in Champions, quando prima del quarto di finale contro il Bayern Monaco si nascose in un cesto della biancheria per stare vicino alla sua squadra nonostante dovesse scontare due giornate di squalifica per il comportamento discutibile tenuto nell’ottavo contro il Barcellona.

Mourinho "mima" le manette

Sfuggito ai controlli pre-partita, parlò con la squadra non solo nel pre-partita ma anche durante la gara, attraverso la radio. Il quarto uomo, però, si accorse di come Rui Faria si toccava spesso l’orecchio dove c’era un auricolare. Questo non bastò a fermare lo Specialone, che mandò i suoi pizzini attraverso l’allenatore dei portieri. Mou nel 2019 ammise di esser quasi morto in quel cesto della biancheria sporca, prima che fosse portato fuori dallo stadio a dieci minuti dal triplice fischio. Non è l’unica volta che la Uefa ha punito il tecnico lusitano: nel 2010 fu multato di 40.000 euro dopo aver ordinato attraverso i suoi portieri Dudek e Casillas che Xabi Alonso e Sergio Ramos si facessero espellere volontariamente. Il suo Real stava vincendo 4-0 contro l’Ajax ed i due erano diffidati: molto meglio scontare la squalifica contro l’Auxerre che negli ottavi di finale. Un comportamento antisportivo ma che funzionò: le Merengues si liberarono di Lione e Tottenham per poi venire sconfitti nel Clasico di semifinale contro il Barça di Messi e Guardiola, che avrebbe poi vinto la finale di Wembley contro il Man United.

José Mourinho

Quanti campionati e coppe ha vinto Mourinho?

Piaccia o non piaccia il suo stile, difficile negare che José da Coimbra non sia uno dei tecnici più vincenti della storia del calcio. Già, ma quanti trofei è riuscito a mettere in bacheca nella sua lunga carriera da allenatore? Parecchi, oltre ad una serie di record difficile da elencare in un solo articolo. Tra titoli e coppe nazionali ed europee, Mourinho ha a suo nome ben 26 trofei, l’ultimo dei quali risale allo scorso maggio, quando alzò al cielo la neonata Conference League con la Roma, mettendo fine all’astinenza di titoli europei che durava dalla Coppa delle Fiere del 1961. A parte gli inizi in Portogallo, è forse più facile elencare in quali squadre non abbia mai vinto niente (il Tottenham Hotspur) rispetto alle altre dove ha almeno alzato un trofeo al cielo. I suoi tre anni all’Estádio do Dragão portarono una serie straordinaria di risultati: due titoli di campione del Portogallo, una Coppa UEFA, una Champions, una Taça do Portugal e una Supercoppa lusitana. I maggiori successi li ha raccolti allo Stamford Bridge, nei due periodi passati alla guida del Chelsea, segnati da successi inauditi per i Blues: tre Premier League, una FA Cup, un Community Shield e ben tre Coppe di Lega.

Mourinho vince la Champions con l'Inter

I risultati ottenuti sulla sponda nerazzurra del Naviglio sono ben noti a tutti gli appassionati di calcio italiani, specialmente il Triplete del 2009-10, impresa mai riuscita ad una squadra italiana. La Supercoppa Italiana del 2008 e lo scudetto del 2008-09 sono solo la ciliegina su una torta che nessuno in Curva Nord dimenticherà presto. Nonostante fosse arrivato come il salvatore della Casa Blanca, lo Special One al Bernabeu non ha combinato molto: un titolo di Liga, una Copa del Rey e una Supercoppa non sono proprio quello che Florentino Perez si aspettava quando lo fece arrivare a Madrid. Ancora peggio andarono le cose quando si trasferì all’Old Trafford, finendo vittima della maledizione di Sir Alex Ferguson: la doppietta Coppa di Lega-Europa League del 2016/17 non furono abbastanza per evitare l’esonero al lusitano, che molti consideravano già sul viale del tramonto. Troppo presto giudicare la sua permanenza a Trigoria ma se non altro lo Special One è riuscito ad evitare il famoso "zeru tituli" grazie alla Conference League. Ci riuscirà anche quest’anno? Al campo l’unica sentenza che conta.

Mourinho festeggiato

Il marchio di Mourinho sull'Inter

Pochi allenatori sono riusciti a far innamorare un’intera tifoseria come José Mourinho negli anni passati all’ombra della Madonnina. C’è chi dice che, forse, solo Helenio Herrera quando si inventò con il presidente Angelo Moratti la "Grande Inter" sia riuscito a tenere in pugno una tifoseria notoriamente di bocca buona come quella della Beneamata. I paralleli tra il tecnico lusitano e l’argentino di passaporto francese sono parecchi: entrambi grandi motivatori, entrambi considerati maestri della pre-tattica, accusati dai critici di essere troppo attenti ai risultati, disposti a tutto pur di vincere, anche parcheggiare l’autobus davanti alla porta.

Altri, invece, dicono che sia tutta una questione di carisma personale e della loro abilità nel creare dal nulla polveroni mediatici per distrarre l’attenzione della stampa dalla rosa, conquistandosene la fedeltà. La sensazione, però, è che per ottenere i risultati che li hanno fatti entrare nella storia, entrambi i tecnici abbiano spremuto fino alla fine la rosa dei giocatori, lasciandosi dietro alle spalle una montagna di rovine. Come successo allo United dopo il lunghissimo regno di Ferguson, i successori di Mourinho hanno faticato non poco per uscire dalla sua ombra. A parte la cavalcata dell’Inter di Antonio Conte, ogni altro tecnico dell’Inter ha dovuto fare salti mortali per non essere crocifisso dalla tifoseria, che non ha ancora dimenticato il vate di Setubal. Visti i risultati altalenanti delle ultime settimane, il rischio che anche Inzaghi si aggiunga all’elenco di tecnici bruciati dal fantasma dello Specialone è molto reale.

Mourinho

La maledizione del terzo anno è vera?

Quando un tecnico rimane al timone per così tanti anni, è inevitabile che qualcuno si inventi questa o quella leggenda metropolitana. Mourinho non fa eccezione, tanto da aver dato origine ad una di quelle maledizioni quasi impossibili da confutare, quella del terzo anno. A sentire i soliti esperti, il percorso sulla panchina del tecnico lusitano finisce sempre per incagliarsi sugli aguzzi scogli della terza stagione, un percorso che si è ripetuto troppe volte per essere una casualità. Altri vanno addirittura oltre, dicendo che non sia affatto un caso ma una delle controindicazioni ai metodi estremi impiegati dal portoghese in allenamento.

Ripercorrendo la carriera di Mou, difficile negare che il terzo anno sia quello nel quale, solitamente, tutti i nodi vengono al pettine, portando spesso e volentieri ad un esonero o ad un addio consensuale. Il suo primo giro allo Stamford Bridge durò poco di più della media, a poche settimane dall’inizio della sua quarta stagione. Dopo un anno passato a litigare con Abramovich per l’arrivo di uno spento Shevchenko, Mourinho ne ebbe abbastanza e se ne andò sbattendo la porta. A Madrid finì decisamente peggio qualche anno dopo: nel 2013 il suo Real finì a 15 punti dal Barcellona campione di Tito Villanova, causando una specie di collasso nervoso dell’intera Casa Blanca. Mou litigò con tutti, dai senatori dello spogliatoio Sergio Ramos e Cristiano Ronaldo, con la dirigenza e perfino con il tecnico azulgrana, che stava già lottando contro la malattia che lo avrebbe condotto ad una morte prematura.

Mourinho al Chelsea

Il secondo giro al Chelsea, segnato dalla celebre litigata con il medico sociale dei Blues, la dottoressa Eva Carneiro, condusse ad una nuova rottura, anche stavolta al terzo anno. Anche il percorso al Manchester United ha seguito la stessa falsariga, tanto da far fare gli scongiuri del caso ai tifosi degli Spurs quando il lusitano arrivò a White Hart Lane. Per loro sfortuna, gli dei del calcio erano in vena di scherzi da prete. Lo Special One fu cacciato senza troppe cerimonie da North London dopo nemmeno un anno e mezzo, decisamente in anticipo sulla tabella di marcia.

È forse vero che José Mourinho segue sempre la stessa ricetta, che per costruire un gruppo vincente ha bisogno di nemici da additare, tirare fuori dai suoi uomini ogni goccia di energia nervosa? Possibile, ma non certo. L’Inter del Triplete non sembrava affatto sfinita, le energie non si erano ancora trasformate in frustrazione, in rabbia. Possibile che con l’età il maestro della pressione abbia imparato come gestire meglio il gruppo, senza aver bisogno di stratagemmi? A giudicare dalle liti e dalle polemiche che regolarmente sconvolgono l’ambiente della Roma, non saprei davvero.

Le famose conferenze stampa

Chiedete a chiunque fosse in giro quando Mourinho allenava l’Inter cosa voglia dire la frase "zeru tituli" e molti saranno in grado di ripetervi parola per parola quella pirotecnica conferenza stampa. Quella che col tempo era diventata una stanca cerimonia laica, un susseguirsi di frasi fatte e banalità che lasciano il tempo che trovano, si rivelò l’ambiente ideale per il talento da fine polemista del tecnico lusitano.

Alle nostre latitudini ci ricordiamo le uscite in Serie A, ma Mou ha disperso in giro parecchie frasi memorabili anche all’estero. Ve ne riportiamo qualcuna tanto per ricordarvi quanto riuscisse ad essere efficace il Mourinho dei tempi d’oro. Al debutto col Real, uno smorto 0-0 contro il Maiorca, cosa disse? "Non sono Harry Potter, sono solo un tecnico. Non esiste la magia, è un’invenzione, il calcio è una roba seria, reale".

Nel 2007, dopo una serie di infortuni nel suo Chelsea, si inventò una delle sue metafore più fortunate: "È come avere una coperta troppo corta. Se te la tiri su per coprirti il petto, i piedi si congelano. Non posso prenderne una più grande, perché il mercato è chiuso – ma è una bella coperta, di cachemire puro". Altre volte non le mandava certo a dire, nemmeno ai suoi giocatori: quando Ricardo Carvalho si lamentò per la troppa panchina, Mou lo invitò "a fare un test di intelligenza o, magari, a farsi vedere da uno bravo".

Mourinho Spezia Roma

Cosa dire poi della sciabolata assestata ai tifosi del Chelsea, che gli diedero del Giuda per averli lasciati sul più bello? "Quando avranno un tecnico che gli fa vincere quattro scudetti, allora sarò il numero due. Fino ad allora questo Giuda è ancora il più forte di sempre". Talvolta per far emergere il genio dialettico di Mou ci vuole una sconfitta dolorosa, come quella rimediata nel 2005 dal suo Chelsea contro il Barcellona. Di chi fu la colpa? A sentire lo Special One di un complotto orchestrato dal dirimpettaio azulgrana: "Quando ho visto Frank Rijkaard entrare nello spogliatoio dell’arbitro all’intervallo non ci volevo credere. Quando poi Drogba è stato espulso ho capito tutto".

Alle volte le frecciate nei confronti degli avversari sembrano gratuite ma in realtà fanno parte di una strategia ben precisa. Quando il derby tra Tottenham ed Arsenal finì con uno scenografico 5-4 per i Gunners, lo Specialone non fu molto impressionato. "Non è un risultato calcistico ma da hockey. In allenamento quando giochiamo tre contro tre, appena si arriva sul 5-4 mando i giocatori nello spogliatoio. Non ha senso farli giocare ancora se difendono così male".

Mourinho

Altre volte, invece, il portoghese usava l’ironia per sviare l’attenzione dei media e crearsi dal nulla un altro caso. Nel 2006, quando la corsa per il titolo era nel momento clou, ecco l’ennesimo colpo di genio. "Pressione? Che pressione? L’influenza aviaria è una roba più seria, quella sì che è pressione. Ridi, ma sono assolutamente serio. Ho più paura di quella che di ogni roba legata al calcio". Piaccia o non piaccia, riuscite ad immaginarvi un altro allenatore capace di contorsionismi verbali del genere senza mettersi a ridere? Non c’è niente da fare: José Mourinho è davvero unico.

Destinato ad allenare

José Mário dos Santos Mourinho Félix è nato il 26 gennaio 1963 a Setubal, figlio di José Manuel Mourinho Félix, portiere del Belenenses e del Vitoria Setubal che riuscì anche a vestire una volta la maglia della nazionale lusitana. A trasmettergli la passione per il calcio fu lo zio, presidente del Vitoria, che gli faceva fare riassunti dettagliati di ogni partita della sua squadra. Dopo aver finanziato la costruzione dello stadio, la caduta dell’Estado Novo, il regime di destra guidato da Antonio Salazar fece svanire gran parte della ricchezza della famiglia della madre di Mourinho.

Da adolescente iniziò a seguire il padre in trasferta, affiancandolo anche negli allenamenti quando divenne tecnico professionista. Quando si accorse che non sarebbe andato lontano da giocatore, decise di studiare per diventare allenatore. La madre provò a farlo diventare un commercialista ma lui non ne volle sapere e si diplomò in scienze motorie all’Instituto Superior de Educação Física di Lisbona. Dopo aver insegnato educazione fisica per cinque anni, seguì corsi di preparazione in Inghilterra e Scozia, impressionando l’ex Ct della Scozia Roxburgh.

Fu grazie al suo aiuto che nei primi anni ‘90 si garantì un posto da interprete al fianco di Sir Bobby Robson, prima allo Sporting Lisbona, poi al Porto e al Barcellona, dove sarebbe entrato nello staff di Louis van Gaal. Questi trascorsi da traduttore gli hanno procurato qualche critica gratuita ma il fatto che sia in grado di parlare in maniera più che adeguata ben sei lingue (portoghese, inglese, spagnolo, catalano, italiano e francese) è stato uno dei fattori chiave del suo successo come tecnico.

Mourinho

La famiglia prima di tutto

Negli ultimi 30 anni ci sono certo stati tecnici che hanno vinto di più dello Special One, da Ancelotti allo stesso Ferguson, ma pochi sono stati in grado di ridefinire fin dalle fondamenta cosa voglia dire essere un allenatore di calcio nel 21° secolo. Mourinho non avrebbe più molto da chiedere alla vita: ha una bacheca infinita, è universalmente considerato uno dei migliori di sempre ed è apparso su ogni copertina dei settimanali di mezzo mondo. In fondo, però, nonostante le infinite polemiche, dell’uomo non si sa molto. Incontrò sua moglie Matilde "Tami" Faria, rientrata da giovane dall’Angola, dopo la decolonizzazione, quando erano ragazzi e si sono sposati nel 1989. La figlia Matilde, nata nel 2006 ed il figlio José Mario Jr sono rimasti lontani dalle cronache mondane, tenuti a bada dai genitori, apparentemente molto severi.

Mourinho in Vespa, murale

Mourinho non ha problemi ad ammettere che per lui, la cosa più importante al mondo è la sua famiglia ed essere un buon padre. Il figlio, dopo non aver impressionato nelle giovanili del Fulham, sembra intenzionato a seguire le sue orme. Dopo averlo portato con sé allo United, la sua famiglia rimane ancora a Londra, dove torna spesso e volentieri.

Ci sarà spazio per la terza generazione dei Mourinho

nel mondo del calcio? Per ora non è dato saperlo ma se Junior avrà solo la metà della personalità e della garra del padre, non avrà problemi a farsi strada. Tanti auguri, Specialone! Cento di questi giorni.

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