Per dare la carica ai suoi Simone Inzaghi aveva detto: “Possiamo scrivere la storia”. Ma ad alzare al cielo la Champions League è stato il Manchester City (guarda il film della partita), la grande favorita, come dicevano tutti: troppo grande la differenza tecnica, troppo forte Haaland, troppa fame per il City e il suo sogno di Treble (Triplete). Troppi soldi per Mansur bin Zayd Al Nahyan. Nella riedizione moderna della storica battaglia tra Davide e Golia, il gigante Golia ha avuto la meglio. Il divario era grande, troppo grande. Eppure l’Inter ci ha provato e, nella finale di Istanbul, non ha assolutamente demeritato. Se l'è giocata alla pari. Essere arrivata fino in fondo, giocarsi la Champions con la superfavorita, il City, fa onore all'Inter. Anche se l’onore non trova posto in bacheca, lì finiscono solo le coppe.
L’Inter di Inzaghi avrebbe voluto scrivere la storia, ma non è per nulla facile. Dopo i trionfi di Helenio Herrera, l’indimenticato Mago, che alzò la coppa nel 1964 e nel 1965, e dopo lo splendido Triplete di Josè Mourinho, lo Special One, che nel 2010 vinse tutto quello che c’era da vincere, ci hanno provato in tanti a riportare l’Inter sul tetto d’Europa. Ma nessuno ci è riuscito. L’Inter è passata di mano due volte, da Massimo Moratti a Erick Thohir, e poi alla famiglia Zhang. Con quest’ultima, dopo tante sofferenze, la squadra nerazzurra è tornata a vincere lo scudetto, guidata da Antonio Conte, ma il sogno europeo sembrava troppo grande. Eppure, nel secondo anno di Inzaghi, è arrivata la finale, inaspettata ma meritata, viste le vittorie a raffica, dagli ottavi in avanti, con Porto, Benfica e poi Milan, dopo aver liquidato il Barcellona nel girone eliminatorio.
Non è stata una passeggiata per Inzaghi. Ha dovuto “attraversare il deserto”, con uno scudetto perso male (e vinto dal Milan) e una clamorosa crisi di risultati quest’anno in campionato. I nerazzurri hanno avuto la forza e la bravura di tenere a livello mentale, si sono stretti intorno al proprio allenatore e, alla fine, sono riusciti a ripartire di slancio, mostrando un calcio efficace, essenziale, con dei giocatori di altissimo livello in grado di fare la differenza. Coppa Italia, terzo posto in campionato (non scontato visto il clamoroso ritardo accumulato a poche giornate dalla fine), e alla fine la ciliegina sulla torta. La possibilità di giocarsi la coppa con le orecchie a Istanbul, tredici anni dopo la notte magica di Madrid. È finita male, dicevamo, ma essersela giocata è già una vittoria.
L’Inter non ce l’ha fatta e si lecca le ferite. Inevitabili gli sfottò e il sarcasmo di juventini e milanisti, in primis. Non c’è nulla di male, il calcio è anche questo. A Istanbul ha giocato l’Inter non la Nazionale azzurra, e diffidate sempre da chi dice "io tifo per tutte le italiane", magari spruzzandoci una dose di pragmatismo moderno (fa bene al ranking del calcio italiano). Sono solo chiacchiere da bar. Il calcio è battaglia e, un po’ come il Palio di Siena, si esulta quando si vince ma ancor di più (strano a dirsi) quando non vince la contrada avversaria. Anche di queste bassezze è fatto l’animo umano dei tifosi di calcio. Mente chi afferma il contrario.
Come dicevamo prima, essere arrivati fino a Istanbul è stato un risultato enorme per l’Inter. Il merito va equamente diviso tra giocatori, staff tecnico e dirigenti nerazzurri. La coppa non è arrivata ma Inzaghi, Lukaku, Lautaro, Barella, Onana e tutti i giocatori hanno fatto un grandissimo percorso.
Stesso discorso per Zhang, Beppe Marotta, Piero Ausilio e i loro collaboratori. Hanno sfiorato la coppa. Nessuno ci avrebbe scommesso, a parte Lukaku, che a settembre 2022 disse a Zhang: "Presidente, andremo in finale".
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