C'è sempre da imparare quando si rievocano macabri e indesiderabili ricordi. Il mondo del calcio, poi, ha una fantasia estasiante: al suo peggio non c'è mai limite. Stavolta c'è cascata l'Adidas, l'azienda che produrrà le magliette della Germania per gli Europei. Qualcuno ha notato che i numeri «4» e «44», utilizzati per la personalizzazione delle maglie, sono facilmente accostabili al simbolo utilizzato dalle «SS» in epoca nazista. Caso del destino? Forse. Seppur faccia specie notare che nessuno si sia accorto di quel design a rischio di infausto ricordo. Lo hanno intuito tifosi e addetti ai lavori. Marketing sbadato. Naturalmente l'azienda ha subito replicato che la Federcalcio tedesca e il suo partner «11teamsports» sono responsabili del design di nomi e numeri e che, invece, Adidas promuove diversità, inclusione, e si oppone a xenofobia e antisemitismo.
A sua volta la Federcalcio ha raccontato di aver sottoposto ad approvazione Uefa i numeri da «1 a 26», di aver bloccato il «44» nei fanshop ed ha richiesto un nuovo design per i numeri. Infine di tenere sempre bloccato il numero «88» storicamente accostato al saluto «Heil Hitler». Insomma il politicamente corretto è tornato fra di noi. Ma nel calcio, più che in altri sport, ha sempre vita breve. Pensate che a casa nostra (potevamo permetterci di stare un attimo indietro?) circolano distintivi antisemiti in vista del derby romano. Poco più di un anno fa andava di moda lo sticker di Hitler in maglia romanista, a ridosso del giorno della Memoria. E 7 anni fa fecero scandalo le figurine di Anna Frank affisse in curva dai tifosi laziali. Le vie del pallone sono infinite.
Ma, spesso, finiscono per sbatterci in faccia il peggio: più che il meglio. Sarà solo colpa di questa società? Certo è che Cicerone e Seneca presero una sonora cantonata quando raccontarono che il tempo mitiga ogni gran piaga.
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