La nazionale "esule" dell'Afghanistan: il calcio resiste ai Talebani

La Nazionale di calcio dell'Afghanistan oltre i Talebani: il regime di Kabul non può impedirle di giocare portando per l'Asia i simboli del vecchio governo in esilio

Dei ragazzi giocano a calcio a Kabul, dicembre 2021
Dei ragazzi giocano a calcio a Kabul, dicembre 2021
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Dal 15 agosto 2021 con la caduta di Kabul e il disastroso ritiro occidentale l'Afghanistan è tornato pienamente in mano al regime islamista dei Talebani, il cui vessillo bianco con la scritta nera della Shahada, l'invocazione coranica di Maometto, è diventato di fatto la bandiera ufficiale del Paese. C'è un mondo, però, in cui a simboleggiare l'Afghanistan è ancora il vecchio vessillo nero, verde e rosso della Repubblica travolta dall'avanzata degli studenti coranici ma ancora riconosciuta come legittimo governo: quello del calcio.

Da due anni la nazionale dell'Afghanistan, che naviga tra le posizioni 160 e 170 del ranking Fifa, è di fatto, in una sorta di "esilio" che però le consente una vera e propria resistenza ai Talebani. Il regime islamista non ha cancellato l'autorità dell'Afghanistan Football Federation, imponendo però il disconoscimento della nazionale femminile che ha dovuto riparare in Afghanistan. La squadra dell'Afghanistan però si muovo tra Asia Centrale e Medio Oriente portando in scena la bandiera del regime repubblicano travolto dai Talebani facendo del calcio uno strumento, silenzioso, di resistenza. A maggior ragione importante quando, tra il 12 e il 17 ottobre, l'Afghanistan giocherà in un derby "turanico" contro la Mongolia nel primo turno delle qualificazioni al Mondiale 2026.

Il 12 ottobre, allo Stadio Pamir di Dusanbe, capitale del Tagikistan, Afghanistan e Mongolia si scontreranno nella gara d'andata che a causa del conflitto latente nel Paese e della presenza dei Talebani a Kabul il Paese centroasiatico non può ospitare. La nazionale del Paese tornerà in campo per gare valevoli per la Coppa del Mondo per la prima volta dal novembre 2021, quando sfidò il Bangladesh con una rappresentanza costituita da giocatori militanti in quattordici Paesi diversi, tra cui Svezia, India, Paesi Bassi, Australia, Bahrain e Inghilterra.

Ai tempi, notava The Athletic, si parlava del fatto che la concessione dei Talebani, che non hanno protestato sul tema dell'uso afghano "potreva essere visto come una mossa di pubbliche relazioni da parte dei talebani, un modo semplice per dire al mondo che ora è diverso". L'interpetazione è stata però rifiutata da Anoush Dastgir, l'ex calciatore oggi 34enne che dalla caduta di Kabul alla scorsa Central Asian Cup ha tenuto le redini della nazionale: Dastgir rifiutava l'idea che lui e i suoi giocatori siano complici di qualsiasi mossa di pubbliche relazioni – dicendo che non hanno giocato per il governo prima dei talebani, e non lo faranno ora"".

Gli studenti coranici sono stati in effetti messi sotto scacco dalla tenacia della nazionale, che ha sempre ostentato i simboli riconosciuti internazionalmente, finanziata dalla Fifa nelle sue peregrinazioni fuori dal Paese. E si è pure presa la libertà di convocare giocatori militanti nei club del Paese, ove il campionato è fermo da più di due anni, creando un ibrido tra uno staff itinerante, oggi guidato dal coach nativo del Kuwait Abdullah Al Mutairim, e una "multinazionale" sul campo. Farshad Noor, centrocampista e capitano, gioca in Brunei.

La punta Amredin Sharifi in Bangladesh. Ma l'esotismo della nazionale afghana in esilio è arrivato a chiamare giocatori come Omid Musawi, che gioca a Cipro nel modesto Achyronas-Onisilos di seconda divisione, o il mediano Taufee Skandari, che proviene addirittura dal B36 di Torshnav, capoluogo delle Isole Far Oer danesi. Per la partita con la Mongolia Mutairim proverà ad avere anche Zohib Islam Amiri, primatista di presenze con 66 caps con la nazionale dal debutto, a 15 anni, nel 2005 a oggi, che gioca nel club semi-professionistico canadese del Blainville, di Montreal.

Il richiamo della bandiera afghana, insomma, è profondo e trasversale. E suscita risposte ai quattro angoli della Terra. C'è, insomma, un Afghanistan che va avanti oltre i Talebani. Si muove sul campo, con fatica e con risultati invero finora modesti, ma continua a mandare un messaggio di speranza e normalità.

Quella speranza e quella normalità che per il Paese sembrano essersi concluse dopo la presa del potere dei Talebani, oltre due anni fa. Inizio di un regime dispotico a cui il calcio offre una via di fuga talmente importante sul piano internazionale che neanche il nuovo regime di Kabul può, ad oggi, evitare di assecondare.

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