Quando Roberto Baggio entra in sala è come se tutti trattenessero il fiato. Il carisma che emana non può lasciare indifferenti. L’occasione è un evento che si incastra nella settimana del mobile, la presentazione di Antera, un’azienda di cerchioni per auto che fa del made in Italy il suo marchio di fabbrica. E inevitabilmente non poteva che scegliere il Divin Codino come brand ambassador. Un giocatore che ha legato a doppio filo la sua carriera alla serie A: gli inizi al Vincenza, dalla Fiorentina alla Juventus, dalle milanesi a Bologna e Brescia. Città e provincia, senza distinzione. E sullo sfondo sempre e comunque l’azzurro della maglia della Nazionale.
Una scelta di vita quella di restare sempre in Italia, dettata da una motivazione precisa?
«Bisogna riconoscere che ai miei tempi era molto diverso perché allora se decidevi di andare all’estero, la Nazionale la perdevi in automatico. E io avevo quel chiodo fisso».
Nonostante le offerte dall’estero non mancassero. Ma oggi sarebbe riuscito a resistere anche agli ingaggi stratosferici dell’Arabia Saudita?
«In quegli anni di richieste ne ho avute tante...Qualche nome? Barcellona, Real Madrid. Ma alla fine ho sempre scelto di restare nel mio Paese perché io guardavo sempre all’azzurro nel momento in cui dovevo dare una risposta».
Roberto Baggio è appena sbarcato su Instagram, il video con la sua Panda in campagna ha avuto un successo unico.
«Sì, ma fa tutto mia figlia Valentina... ci tengo a precisarlo».
Ma se fosse un giocatore oggi riuscirebbe a resistere alla tentazione della visibilità che danno i social?
«La verità è che se non passi attraverso quello... sembra che non esisti».
E poi facciamo i conti con giocatori che si perdono per strada tra scommesse, playstation e scelte sbagliate. Nel 2010 il suo progetto che aveva presentato da guida del settore tecnico della Figc parlava «di etica, comportamenti, vivai e formazione tecnica».
Sembra più attuale che mai...
«Da fuori si fa fatica a giudicare, facile criticare, ma bisogna essere dentro. Sono cambiati i tempi anche solo guardando all’educazione».
Ai bambini, ma forse ancora prima ai genitori e agli allenatori delle scuole calcio, cosa direbbe?
«Noi giocavamo sempre e comunque con la palla, era l’attrezzo che non dovevamo mai perdere e abbandonare. Partivamo da quel concetto lì. Oggi sono cambiate tante cose, credo che manchi la strada, andavano bene due magliette in terra e una porta. Lì ti crei un bagaglio che ti porti per la vita. C’è troppa pressione affinché i nostri figli facciano esperienze proprie, incontrino difficoltà».
Nella storia recente forse questa è una delle Nazionali con meno talento. È un problema generazionale?
«Non penso che manchi il talento, ma da solo non basta. Servono passione, lavoro. Anzi, senza questi diventa tutto più difficile. Invece, se uno ha passione e dedizione può arrivare comunque in alto».
Ci avviciniamo agli Europei da campioni in carica, un titolo conquistato in mezzo a due Mondiali saltati. Qual è la verità?
«L’Italia ha sempre giocatori di qualità ed è così anche in questo momento. Penso che manchi davvero poco per tornare davvero competitivi. Mi auguro che Spalletti ci riesca, ha le qualità per scegliere i giocatori giusti. Bisogna dargli il tempo di lavorare».
Invece agli azzurri cosa dice in vista di un torneo così importante?
«Da una nazionale ci si aspetta sempre che dia tutto. Una cosa devono saperla: il tipo di lavoro che andranno a fare determinerà il risultato».
L’Inter è ormai a un passo dallo scudetto, quello della seconda stella che potrebbe addirittura festeggiare nel derby contro il Milan.
«È un titolo sicuramente meritato per la qualità del gioco che la squadra di Simone Inzaghi ha mostrato in ogni partita con un Lautaro che ha fatto spesso la differenza e dato una spinta ulteriore. L’avevo già notato agli inizi, quando giocava in Argentina».
È un momento storico in cui non ci sono numeri 10 in circolazione. Se dovesse dire un nome della serie A, chi indicherebbe?
«Ce ne sono tanti, ma Zirkzee mi piace molto, ha fatto un campionato eccezionale a Bologna e credo sia un giocatore con grandi qualità e ampi margini di miglioramento».
Oggi se potesse scendere in campo chi vorrebbe avere al suo fianco tra i fuoriclasse che dominano il palcoscenico internazionale?
«La verità? Pagherei per poter giocare
ancora».E gli si illuminano gli occhi. Sì, perché alla fine si torna sempre a un pallone da rincorrere: quello che fin da bambino gli hanno insegnato a non perdere mai. Un compagno di vita che vorrebbe ancora al suo fianco.
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