Come una saetta, al cuore. Improvvisamente un atleta giace sul campo, si porta la mano al petto, massaggia il cuore, malore. Evan Ndicka è il difensore della Roma, la sua partita è durata settanta minuti prima di quel lampo, dopo è stato un frullare di pensieri grigi e di parole nascoste dietro la mano. La domanda è immediata, come quel fulmine imprevisto: perché? È accaduto a Udine, era accaduto a Bologna per Lionello Manfredonia, arresto cardiaco dopo cinque minuti di partita ma le due squadre continuarono a giocare. Come nell'Europeo del '21 quando Christian Eriksen si accasciò sul campo e per dodici minuti si pensò alla morte. Furono i calciatori a voler tornare a giocare. Memoria di Perugia-Juventus, Renato Curi in barella, gli occhi definitivamente chiusi, altri ricordi terribili, Piermario Morosini, Marc Foé, Antonio Puerta, Miklos Feher, Davide Astori, l'affanno della nostra memoria. Lo spettacolo deve andare avanti, a Udine no, non è stato l'arbitro, sono stati i calciatori a dire basta, è stato un allenatore campione del mondo, Daniele De Rossi, con lui Gabriele Cioffi.
Non hanno aspettato il fischio burocratico di Pairetto, fedele al palazzo che non ha pelle sensibile e allora soltanto i veri protagonisti hanno avuto coscienza che oltre il football, ci sia altro di serio, la vita torna ad avere il suo valore puro. A Udine i calciatori hanno giocato la partita più bella. Il resto è grigia tristezza.
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