California, Hillary cerca la conferma A Obama l’aiuto di una Eisenhower

Una nipote di Ike, il grande repubblicano, si schiera con Barack

da Los Angeles

Il «Supermartedì» è cominciato fra il sabato e la domenica, ma solo nel piccolo e bizzarro Stato del Maine; bizzarro nel sistema elettorale, nella scelta dei giorni della settimana e nelle preferenze politiche: Mitt Romney sta «stracciando» John McCain, che nella gara repubblicana è finora largamente distanziato anche dal candidato «libertario» Ron Paul. Per il resto d’America il martedì cade di martedì e John McCain ha il vento in poppa in una «fascia» di Stati che si stende, come in un verso di America the Beautiful, «from Sea to shining Sea» da un oceano all’altro. È in testa a New York, lo è nella maggior parte del Midwest e dell’Ovest. E lo è in California, la «preda» più ambita perché è lo Stato di gran lunga più popoloso e dunque quello che fornisce il maggior numero di delegati alle convenzioni nazionali dei due partiti.
Anche Hillary Clinton è in vantaggio, sul fronte democratico, ma l’impressione degli scrutatori dell’umore popolare è che il suo margine vada diminuendo mentre quello di McCain si dilata. In entrambi i partiti la gara si è semplificata in altrettanti duelli. Ufficializzato quello democratico dal ritiro di tutti gli altri contendenti, autentico anche per quanto riguarda i repubblicani, che pur sono in quattro ma con ruoli chiaramente definiti. Così come molto diverse sono le strategie, a cominciare da quelle finanziarie.
Questa è la campagna elettorale di gran lunga più costosa della storia d’America e in nessun posto lo è, naturalmente, quanto in California. Si affrontano quattro modi diversi di amministrare il budget. Sono democratici contrariamente al solito, i due candidati che hanno raccolto più denaro fra i loro sostenitori. Hillary li ha spesi più generosamente e si affida adesso soprattutto alla «macchina» del partito, a sua disposizione da sempre. Obama non ne dispone e allora, invece che spendere a pioggia, preferisce concentrarsi sugli Stati in cui può prevalere, anche se sono meno popolosi, in modo da poter annunciare una fila di vittorie e concede praticamente alla Clinton l’area del Nord Atlantico, a cominciare da New York.
Entrambi però per strappare al «Supermartedì» il sigillo della candidatura «inevitabile», avrebbero bisogno della California, che ridiventa così decisiva, e in cui Hillary sembra disporre di un asso nella manica con cui contrastare i progressi dello sfidante fra i giovani, i più colti, le minoranze, gli indipendenti. La sua carta sono i «latini», da cui si aspetta un appoggio quasi plebiscitario, per metà dovuto alla gratitudine nei confronti della presidenza di Bill Clinton e per metà - ma forse più di metà - all’antagonismo degli «ispanici» nei confronti dei neri, che sono in numero molto inferiore. Dovrebbe essere proprio Los Angeles, assieme a San Diego e alle contee della Central Valley a dare l’impulso decisivo.
Tra i repubblicani le linee dello scontro sono meno facili da delineare. Come la «liberal» Hillary è attaccata da sinistra, così il conservatore McCain è sotto il tiro da destra, da coloro che non gli perdonano certe iniziative «eretiche». Il più noto e severo tra i suoi critici è Newt Gingrich, ex presidente della Camera e autore del «Contratto con l’America». Egli gli rimprovera le posizioni sulla legislazione di costume, l’opposizione ai tagli fiscali di Bush e, soprattutto qui, la sua moderazione nei confronti degli immigrati, inclusi quelli illegali.
Gli altri candidati ascoltano i timori delle masse e promettono leggi draconiane, dal completamento del «muro» al confine col Messico, alla «deportazione» di tutti coloro che si trovano su suolo americano senza documenti. McCain avverte che è irrealistico pensare di cacciar via da 12 a 14 milioni di persone e preferisce (come del resto Bush) una qualche sorta di «amnistia». Il tema è bruciante particolarmente negli Stati di frontiera, compresa l’Arizona, patria di McCain e, naturalmente, la California meridionale. È qui che si è già cominciato a costruire il «muro», anche se poi si è dovuto ben presto constatare che molti fra gli operai addetti a erigerlo sono illegali.
Ma nel complesso l’atmosfera della California è tutt’altro che angosciata e ciò fa prevedere un successo dei candidati dell’establishment nei confronti degli «insorti». Anche se questi ultimi dispongono dell’appoggio di persone e di nomi famosi.

Più di tutti ne ha raccolti Obama, che è arrivato in California in compagnia di Ted Kennedy e assecondato da personaggi femminili ben conosciuti. Caroline Kennedy, figlia del presidente John, la star televisiva Oprah Winfrey e, ultima e meno attesa, Susan Eisenhower nipote di «Ike» ed erede del più «storico» fra i cognomi «repubblicani».

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