CALPESTATO IL METODO CIAMPI

Il centrodestra «unito» non voterà Giorgio Napolitano, che forse verrà eletto, ma non al modo di Carlo Azeglio Ciampi. In questione non è la «persona», ma la sua candidatura inchiavardata nei giochi politici del centrosinistra. A Silvio Berlusconi e alleati, è stato richiesto non solo di votare una personalità di garanzia ma di risolvere anche il problema politico di una maggioranza che non ha saputo dare abbastanza ai Ds nella ripartizione degli incarichi istituzionali. E, in più, di legittimare definitivamente i postcomunisti. Dei due obiettivi, quest'ultimo è il più nobile ma di soluzione complessa (altrimenti i Ds avrebbero candidato uno dei loro a premier) e ostica per l'elettorato di centrodestra. Per essere perseguito limpidamente avrebbe richiesto maggiore accortezza politica.
Il centrosinistra si è comportato in modo opposto a quello tenuto nel 1999 per Ciampi. Allora era stato sacrificato il candidato (Franco Marini) che risolveva più problemi politici al governo D'Alema, per dare una risposta di profilo istituzionale. Oggi prevalgono invece le ragioni di partito e di coalizione.
Perché? Perché Romano Prodi è nettamente meno capace di D'Alema. E il centrosinistra non ha sufficienti basi politiche nel Paese e numeriche in Parlamento, e cerca di nascondere questa realtà con furbizie e arroganze.
Certo, alla fine nel centrodestra sono emerse alcune contraddizioni, con l'Udc orientata a votare Napolitano. Di fronte a una nuova e difficile fase politica, è evidente come il centrodestra abbia bisogno di discutere le sue prospettive e come alcune differenziazioni siano inevitabili. Non è impossibile individuare una strada tale da mantenere salde le basi sociali del centrodestra e che, insieme, eviti derive propagandistiche dannose per le istituzioni e il Paese. Perseguire questo obiettivo, richiede però la consapevolezza che in assenza di autonomia politica (che solo il rapporto con le proprie basi sociali consente) ci sono o subalternità o un vacuo vociare. E in entrambi i casi è difficile recare contributi alle istituzioni e agli interessi nazionali.
Lo sforzo di mantenere un punto di vista autonomo deve innanzi tutto fare i conti con la dinamica capacità della stampa italiana a condizionare i processi politici: il che in qualche misura non è un difetto ma una virtù. Nell'immediato dopo-voto, per esempio, si è registrato un intervento del Corriere della Sera teso a costruire un clima di collaborazione tra centrodestra e centrosinistra, con particolare attenzione a D'Alema (intervistato dopo mesi di astinenza) e Silvio Berlusconi, invitato insistentemente a scrivere sul quotidiano milanese. Poi, dopo qualche giorno, si è notata una campagna insidiosamente maliziosa sulle intese sotterranee tra i due protagonisti della vita politica italiana, appena prima indicati come salvatori della patria. Tutto questo - va ricordato - dopo che le proposte politiche del Corriere erano state rifiutate dalla maggioranza dell'elettorato del Nord.
La prima campagna, oltre a distrarre l'opinione pubblica dagli errori politici corrieristi, ha spinto D'Alema a una serie di iniziative non sufficientemente calibrate.

La seconda ha puntato a disarmare l'iniziativa politica del centrodestra, esponendo per esempio Pierferdinando Casini in troppo anticipate candidature di Marini, e insinuando in Fini sospetti di accordi segreti dalemian-berlusconiani.
Naturalmente il Corriere ha tutto il diritto di fare le campagne che vuole. Il loro senso dovrebbe però essere meglio valutato dai dirigenti del centrodestra.

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