Caos in aula: su Fini piovono insulti e giornali

IN EXTREMIS Fallisce per due voti il tentativo dell’opposizione di rispedire il testo ai box

Caos in aula: su Fini piovono insulti e giornali

RomaUn giornale volato in testa a Fini, una palla di carta piovuta anche quella sulla testa del presidente della Camera, insulti vari, gaffe micidiali, focolai di rissa, una scheda volante tirata dal Guardasigilli e atterrata su un deputato Pd. Un giorno di ordinaria follia a Montecitorio, con una tensione palpabile e nervi a fior di pelle trasversali. Il Pdl, alla fine, raggiunge un risultato paradossale: voleva anticipare il voto sul processo breve invertendo l’ordine dei lavori in aula, ma poi chiude le danze proponendo di rimandarlo a martedì prossimo, tra l’altro in coda agli altri punti all’ordine del giorno. «Se avessimo lasciato l’ordine com’era magari si chiudeva tutto in tre giorni, senza polemiche» sussurrano molti pidiellini che fanno nervosamente la spola tra il cortile e l’aula. Con quella decisione si è invece scatenato un gioco a rimpiattino, con la maggioranza che ha fatto di tutto per stringere i tempi e l’opposizione il contrario per perdere minuti e ore decisive.
Il tutto in un clima incandescente, da derby con ultrà. Basta un niente per accendere la miccia, e il primo scontro è sul «processo verbale» della seduta di mercoledì. Una formalità, che di solito i deputati fanno sbadigliando, diventa l’incipit per l’arena. Il punto è che l’opposizione chiede che venga registrato (a verbale) l’episodio che ha visto protagonista La Russa il giorno precedente, con il «vaffa» a Fini. In questi casi il regolamento prevede che la Camera si esprima con un voto, che scatena nella maggioranza la recluta dei deputati fin lì assenti, tra cui i ministri impegnati a Palazzo Chigi. Richiamati al volo, si precipitano a votare ma il tempo corre e Fini sembra avere particolare fretta. Alfano taglia il traguardo allo scadere, ma il presidente chiude il cronometro pochi secondi prima che il Guardasigilli imbuchi la sua scheda, da qui l’ira di Alfano che lancia il suo tesserino verso i banchi dell’opposizione (ma testimoni diretti raccontano che Alfano avrebbe cambiato mira all’ultimo, la prima intenzione era di lanciarla verso Fini). Il risultato è un pareggio, che equivale alla bocciatura del testo. Alè, scoppia la bagarre. Fini si alza per uscire dall’aula e gli arriva in testa un giornale (ma alcuni dicono «solo un foglio di giornale»...), lanciato da una deputata (pare, ma non è confermato, la pidiellina Pina Castiello...). Segue battibecco tra Fini e l’onorevole Marco Franzoso (Pdl), che però smentisce di essere lui l’autore del lancio. A quel punto il «processo verbale» va modificato, e per questo vengono incaricati due segretari d’aula, Renzo Lusetti per l’Udc e Gregorio Fontana per il Pdl. Devono concordare una formulazione per «il caso La Russa», ma all’opposizione interessa soprattutto perdere tempo, e infatti i compagni congedano l’ex dc Lusetti con una raccomandazione: «Renzo, ricordati dei congressi Dc...», cioè dell’arte democristiana di tirare per le lunghe.
Alla fine si media, con l’intervento di Fini, per un «irriguardoso» (La Russa) che viene inserito nel verbale. Finita lì? Nemmeno per sogno. Mentre Fini comunica che i questori di Montecitorio «deplorano» la sfuriata del ministro della Difesa (su cui deciderà l’Ufficio di presidenza martedì, forse con una sospensione di qualche giorno), tra i banchi del Pdl nasce un autogol fenomenale. Viene contestato l’aiutante della deputata Pd Ileana Argentin, disabile, perché applaude al posto dell’onorevole. «Ma io non posso muovere le mani» dice l’Argentin gelando i polsi di tutto l’emiciclo, finché dalla Lega (dopo un paleolitico «fatela stare zitta quell’handicappata del c...») arrivano le scuse.
Nella concitazione si sparge un rumor, secondo cui Napolitano sarebbe seriamente preoccupato per la situazione, tanto da aver avvisato di essere pronto a sciogliere le Camere. La voce inquieta il Pdl ma anche il Pd, se è vero - come raccontano autorevoli fonti - che la deputata avvicina un esponente del governo per dirgli più o meno «cercate di gestire meglio la situazione, sennò qui crolla tutto» (un incubo per il Pd). La Bindi torna protagonista nel primo pomeriggio quando riprende l’aula. È lei che la presiede, come vice (uno dei quattro). Di conseguenza, in quelle vesti, non può votare quando si rimette all’aula la proposta di Giachetti (Pd), di rimandare il processo breve in commissione, quindi di azzerare tutto e distruggere i piani della maggioranza. Alla fine viene respinta con 2 voti di differenza, e nel Pd si scatena il malumore verso l’imperizia della Bindi e l’assenza di un deputato Idv, due voti che avrebbero fatto fare il colpaccio all’opposizione. Passa invece la proposta Pdl di rimandare a martedì. Ma c’è tempo per un ultimo litigio, stavolta sull’ordine dei lavori alla ripresa.

La maggioranza insiste che il processo breve sia al primo punto, l’opposizione spinge per attenersi alla scaletta dell’ultima capigruppo. Alla fine vince la seconda ipotesi, e il provvedimento che doveva essere un blitz diventa l’ultimo punto dei lavori tra cinque giorni. La riforma della giustizia sarà anche epocale, ma il week end è sacro.

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