Il capitalismo (non Bergoglio) elimina i poveri

Caro Granzotto, mi auguro che le giustificazioni date ad un lettore non siano il segno che la predicazione di Papa Bergoglio le abbia suscitato sensi di colpa per il suo essere abbiente in un mondo in cui la maggioranza è costituita da poveri. Nello stesso tempo non deve nutrire sentimenti di ostilità verso Francesco che, essendo un Papa, è tenuto ad essere fedele alla sua ideologia. Non sarà lui ad alterare l'equilibrio tra il diverso benessere nella popolazione. Se non ci sono riusciti con i gulag come potrà riuscirci lui con le prediche? Giovanni Allegrie-mail Tranquillo: nessun senso di colpa, caro Allegri. E non saranno certo gli appelli di Bergoglio a farmeli venire. Piuttosto, rilevo in lei, perdoni l'impertinenza, un certo tocco bergogliano quando scrive di «un mondo in cui la maggioranza è costituita da poveri». Conclusione alla quale in molti arrivano confusi da un dato sbandierato dai redistribuzionisti pikkettiani (Bergoglio tra costoro). E cioè che la ricchezza è a metà nelle mani del 6 o 8 per cento della popolazione mondiale. Ammettendo che ciò sia vero, perché trarne che il restante, che comunque dispone del 50 per cento della ricchezza, debba essere necessariamente povero? Partendo dai nababbi, prima di arrivare al povero ci sono i ricchi, i facoltosi, i benestanti, i meno abbienti... C'è chi non può permettersi lo yacht, ma magari l'auto, la villetta, le vacanze e il panettone a Natale sì. In quanto ai «poveri estremi», torna utile sapere che rispetto al 1990 sono diminuiti - dati dell'Onu - della metà. Sempre troppi. Ma anche sempre meno.

E il merito è della diffusione del capitalismo e del libero mercato, gli stessi che la religione del pauperismo, della «decrescita felice», della tassazione a tabula rasa intenderebbe inceppare per imporre poi quel genere di giustizia sociale basata sul «siccome non possiamo essere tutti ricchi, allora tutti poveri».

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