"Caro Scola, pensi ai giovani. Hanno un grande bisogno di lei"

L'APPELLO Dopo l'insediamento del nuovo arcivescovo. I ragazzi che vanno a scuola o all’università sono vittime di una depressione culturale che fa male

"Caro Scola, pensi ai giovani. Hanno un grande bisogno di lei"

Caro Arcivescovo,
l'imponenza della folla che ha festeggiato, domenica scorsa, il Suo insediamento nella nostra città ha un solo possibile paragone: quello della domanda - imponente, incombente - che agita in questi giorni i cuori di tutti, credenti o no.
Chi a ragion veduta, chi per sentito dire, chi per un presentimento che muove l'uomo più di quanto si creda, i figli di questa diocesi hanno intuito che la Sua presenza potrà portare a Milano non soltanto la forza della fede ma, con essa, anche una luce capace di guidarci nelle vicende sociali, politiche e culturali.
Dopo avere sperimentato la delusione della politica, abbiamo imparato che la persuasività di un modello di convivenza civile dipende prima di tutto dalla persuasività di chi lo propone. Siamo stanchi di sentirci dire che Tettamanzi stava con la sinistra e Scola starà con la destra. Basta! Bisogna aprire le finestre e far entrare un po' d'aria nuova.
Perciò in tanti si sono rivolti a Lei e da Lei si aspettano un aiuto. E non dubito che saranno disponibili, a loro volta, ad aiutare Lei: perché i milanesi - siano essi meneghini o brianzoli, egiziani o filippini - sono uomini generosi, pieni di quella «inquietudine fattiva» che è uno dei caratteri fondamentali della nostra mens.
Ho letto diversi Suoi libri e interventi, nei quali è ben presente quella cosa di cui già Giorgio Gaber lamentava la scomparsa nella nostra quotidianità politica e culturale: il pensiero.
Ora, se la politica ha impoverito Milano dando talora l'impressione di una città senza idee, la realtà è diversa. Il problema è che, spesso, da noi chi ha idee non ha voce e chi ha voce non ha idee: è su questa spaccatura, causata soprattutto da un eccesso di politica, che bisogna lavorare.
Quanto a me, Eminenza, c'è un punto che mi sta particolarmente a cuore, e sono i giovani. Bisogna lottare affinché non cadano vittima di una depressione culturale di cui è facile rendersi conto visitando, per esempio, un'università. Si avverte una debolezza nella spinta ideale, una difficoltà progettuale dietro cui si intravede una domanda semplice, elementare e terribile: che ne sarà di noi?
Esistono parole che hanno il valore di altrettanti termometri, il cui uso eccessivo o la cui scomparsa dal linguaggio della comunicazione costituiscono altrettanti segnali di allarme. Una di queste parole è «microcriminalità», che non viene usata quasi più perché è venuto meno il confine tra «bene» e «male», tra comportamento onesto e comportamento delinquenziale.
Si sta come sul confine tra ciò che è legittimo e ciò che non lo è. Mentre una gran quantità di soldi sporchi invade Milano, certi comportamenti sono diventati così comuni (piccolo spaccio, taglieggiamenti, bullismo ecc.) da essere comunemente accettati come parte del gioco.
Eppure, anche qui: quanto splendore umano rischia di andare perduto! Quanta intelligenza, quanta bontà!
Io però capisco che non si tratta solo di un problema di scuola o di famiglia, che sono fragili, deboli, e spesso non possono niente. Si tratta di mobilitare il territorio, il mondo del lavoro e tutti gli uomini di buona volontà affinché il destino di queste persone possa incontrare dei punti d'amicizia, di compagnia, di aiuto.


Questo è, dunque, il mio desideratum: che Lei stia il più possibile vicino ai giovani, da un lato aiutando la scuola e l'università (che è il momento decisivo nella formazione della personalità) e dall'altro ponendo le condizioni affinché si possa tornare a chiamare le cose con il loro nome: «male» il male e «bene» il bene. In questo non c'è nulla di scontato, e io so che Lei potrà fare moltissimo. Noi, da parte nostra, non ci tireremo indietro.
Con infinita gratitudine, Suo

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