Poteva la Lega disinteressarsi dell’elezione del sindaco di Milano? Poteva rischiare di perdere ancora terreno nella capitale del Nord? Poteva consentire che i suoi elettori rimanessero a casa avvolti nel pessimismo nei giorni del ballottaggio? Sarebbe stato difficile da comprendere se non per questioni di fedeltà alla coalizione almeno per non fare dell’autolesionismo.
Ormai la presenza degli esponenti del Carroccio in sede nazionale condiziona anche la sua forza su base locale. Se non fa le «cose giuste», come dice la sua base, ne risente a livello locale. Difficile continuare a parlare di Roma ladrona quando sei più là che qua. Ma è vero anche il contrario: la forza che la Lega ha sul territorio le dà forza anche a Roma, anche in Consiglio dei ministri. Poca forza a Milano si concilia male con tanta forza a Roma.
Detto questo, la Lega a Milano può - nei giorni che rimangono prima del ballottaggio - giocare un ruolo chiave perché può portare alle urne gente che vota Letizia Moratti, gente che al primo turno al seggio ha preferito la poltrona di casa. Magari perché non era convinta della Moratti, magari perché la sentiva lontana e non sufficientemente popolana ma che, poi, riflettendo al di là dei gusti personali, al di là della biografia, ha fatto due conti in termini di potere politico e al giudizio personale può far subentrare un giudizio un po’ più oggettivo che si sintetizza così: perdere Milano rende più debole anche la Lega, non solo Berlusconi.
La Padania di ieri lancia la campagna che ha chiamato delle 10 giornate di Milano e Matteo Salvini dà la carica agli elettori leghisti. Sostiene che l’impegno della Lega sarà massimo e che occorre chiamare al voto i 350mila milanesi che non sono andati a votare (molti dei quali, tra l’altro, sono proprio leghisti) e che la sfida è possibile, tutto non è perso.
Il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, in una lunga intervista, parla delle riforme che vanno fatte. Della necessità di rilanciare l’azione riformatrice interrotta o rallentata dalla vicenda-Fini che ha pesato, sempre secondo l’autorevole esponente della Lega, non poco anche sul risultato di Milano. Decentramento dei ministeri al Nord, Senato federale, introduzione dei costi standard anche per i ministeri e non solo per le Regioni, riforma del fisco. Il popolo del centrodestra è un popolo pragmatico che vuole vedere fare le cose. Che è disposto a capire le difficoltà e ad aspettare, ma che non tollera la confusione, il caos, i linguaggi che tendono a mascherare la realtà. Non tollera di non capirci più nulla, appunto perché non è ideologico ed è - invece - amante dei fatti, è empirico, ama quella che i filosofi chiamano l’empirìa.
Se questo è vero per tutto il centrodestra, ancora di più lo è per la Lega che se ha un difetto è quello di semplificare troppo e non di complicare. Forse ai militanti va suggerita la lettura del programma di Giuliano Pisapia, dopodiché ai seggi ci andranno di corsa, nonostante l’afa.
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