Il governo non ama le critiche. Men che meno che si disturbino i suoi affari. Così, nel tentativo di mettere il silenziatore alla vicenda Visco, il borbottante presidente del Consiglio Romano Prodi ci ha accusato di fare propaganda. Per lui la storia che vede coinvolto il viceministro dell’Economia è già chiarita, roba vecchia, e a tranquillizzarlo è bastata l’assicurazione che il sottosegretario adirà le vie legali. L’ipertiroideo segretario dei Ds Piero Fassino ci ha invece imputato d’organizzare aggressioni e linciaggi mediatici contro il centrosinistra. Banali anche nelle giustificazioni.
Le dichiarazioni del capo del governo e del capo del maggior partito di governo – giunte dopo una mattinata e un mezzo pomeriggio d’imbarazzato silenzio – non chiariscono e non spiegano assolutamente nulla dell’oscuro affare che vede coinvolto il signor Fisco. Il Giornale non ha aggredito nessuno e nemmeno ha pubblicato fatti già noti. Semmai ha riportato l’inedita e inquietante testimonianza resa dal comandante della Guardia di finanza. Di fronte all’avvocato dello Stato, l’alto ufficiale, ha denunciato le pressioni di Visco. Con meticolosità il generale Roberto Speciale ha ricostruito gli interventi insistenti che il viceministro dell’Economia aveva esercitato su di lui al fine di ottenere la decapitazione dell’intero vertice delle Fiamme Gialle in Lombardia, ossia dei militari impegnati nell’inchiesta Unipol-Bnl, e nelle indagini sul tesoretto di 50 milioni di euro depositato sui conti del presidente e del vicepresidente della compagnia di assicurazione delle coop rosse.
Nel verbale, il comandante della Gdf rivela con chiarezza alcuni fatti. Primo, la sostituzione dei vertici milanesi delle Fiamme Gialle non era né prevista né richiesta da esigenze di servizio. Secondo, il trasferimento non era una promozione, prova ne sia che per gli alti ufficiali non era pronto alcun altro incarico. Terzo, la decisione era stata richiesta, anzi ordinata, da Vincenzo Visco in persona. Quarto, il viceministro voleva che i militari in questione facessero le valigie in 24 ore e aveva una fretta dannata. Quinto, i tentennamenti del generale della Guardia di finanza avevano indotto il viceministro a passare alle minacce.
Di fronte a simili accuse, che ipotizzano reati gravi come l’abuso d’ufficio se non addirittura l’intralcio alle attività investigative o il tentato favoreggiamento, il governo non può ricorrere alle frasi scontate. Non può dire che si tratta di propaganda. Gli addebiti sono mossi dal comandante di uno dei più importanti corpi militari dello Stato, non dall’usciere del ministero dell’Economia. E allora Prodi ha il dovere di rispondere senza gorgoglii. Deve dire se sta mentendo il generale Roberto Speciale o se Vincenzo Visco ha tentato un colpo di mano contro degli ufficiali di polizia giudiziaria, intimidendo addirittura il loro superiore. Nel primo caso deve essere rimosso immediatamente il comandante della Gdf, nel secondo se ne deve andare, e in fretta, il viceministro. Terze vie non ne esistono.
Già che ci siamo, il capo del governo risponda a un’altra domanda: ci spieghi perché la testimonianza del generale Speciale contro il viceministro Visco, resa il 17 luglio del 2006 dinanzi all’avvocato dello Stato, è rimasta ferma per 10 mesi. Una dimenticanza? Oppure un tentativo di imboscamento? Se così fosse, sarebbe il secondo. E non vorremmo che quando si tratta di Palazzo Chigi e dintorni diventasse un’abitudine.
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