Caselli si rassegni: ad Arcore di "penale" c’è solo la parola

Il procuratore di Torino invoca la condanna di Berlusconi. Ma in ballo non ci sono reati, al massimo gli attributi del Cav. Secondo questi giudici rispettare i diritti significa emettere sentenze sommarie

Caselli si rassegni: ad Arcore di "penale" c’è solo la parola

L’assoluta sicumera con cui alcuni fallaci magistrati sostengono il primato dell’accusa, in un momento in cui le inchieste si manifestano come attentati alle elementari libertà individuali, in un rinnovato clima di inquisizione, contrasta con una infinita serie di errori storici che hanno visto gli accusati e i condannati come simboli positivi. Nel processo a Socrate la ragione era dalla parte dell’accusa? E nei processi a Giordano Bruno, Galileo, Pasolini, Braibanti, Gramsci, la ragione era dalla parte dell’accusa? E nei più recenti processi, accompagnati dall’infamia e dal ludibrio, a Calogero Mannino, Francesco Musotto, Corrado Carnevale, Franco Nobili, Vito Gamberale, la lunga gogna, l’umiliazione di accuse sbagliate è giustificabile, soprattutto senza che nessuno sia stato chiamato a pagare per il suo errore? Cosa fa dunque pensare che le ragioni dell’accusa meritino comunque rispetto e impongano all’accusato di discolparsi?
Questa esaltazione catartica dell’accusa sembra nascondere una prepotenza religiosa, legata all’ombra del peccato, sulla dimensione laica della giustizia. Non è contemplato l’errore, e tantomeno il pregiudizio, quasi sempre moralistico. Un tale atteggiamento si ravvisa nel pensiero del procuratore generale della Corte d’Appello di Venezia, Pietro Calogero, che sembra non sopportare il ribaltamento del ruolo da accusato ad accusatore, tipico delle rivoluzioni culturali (e anche sessuali). Per lui Caifa ha sempre ragione. Prevedibile, benché più grave, la posizione di Giancarlo Caselli che, all’inaugurazione dell’Anno giudiziario a Torino, senza il minimo turbamento per avere chiesto e ottenuto il carcere per Calogero Mannino sulla base di accuse rivelatesi inconsistenti, ha sentenziato tetragono: «Come fosse ossessionato dai suoi problemi giudiziari, il presidente Berlusconi nel corso degli anni ha moltiplicato gli interventi per indurre nei più l’immagine della giustizia come campo di battaglia di interessi contrapposti, anziché luogo di tutela di diritti in base a regole prestabilite». E quale sarebbe la tutela dei diritti secondo Caselli, di grazia? Allegare 616 pagine di vaniloqui telefonici di ragazze desiderose di essere considerate, aiutate, promosse, anche amate, per una richiesta di perquisizione, senza alcun interesse penale e solo per diffondere un profilo moralmente discutibile dei comportamenti sessuali di una persona, può essere considerata tutela di diritti? E quali? Nell’evidente e prepotente violazione della privacy, senza alcun profilo di reato? E perfino l’insistenza sulla minore età che non preclude figli, matrimoni e mantenimento, non ostacola doni e regali e neppure rapporti d’interesse che non possono essere in alcun modo fatti coincidere con la prostituzione, soprattutto se si instaurano rapporti di responsabilità e di conoscenza, non è un modo suggestivo per mettere in cattiva luce un antagonista politico con lo stesso discredito che si usò nei confronti di Carnevale?
Le stesse cose ritornano ma non si possono fare i processi sulla base di valutazioni moralistiche dei comportamenti, soprattutto sessuali. La sfera sessuale è sacra e nessuno l’ha vista così oscenamente sfregiata come il presidente del Consiglio. Con l’assoluta evidenza ben descritta da Maria Giovanna Maglie di un mondo femminile di donne consapevoli e voraci che «prima spolpano il Cavaliere e poi lo sputtanano». Questo soltanto appare dalle intercettazioni. E la Maglie conclude, sulla base di quanto si è, con disgusto, letto: «Una considerazione mi scappa, queste sono veramente delle sanguisughe, e la loro giovinezza non può essere un alibi per tanta spolpante irriconoscenza». Vero è che non c’è nulla di male a desiderare di frequentare e vedere donne giovani e belle. È ricostituente, perfino una medicina. Mio padre, novantenne, quando vede una ragazza di vent’anni, riprende vigore e piacere com’è naturale e come era davanti a giovani corpi per Luchino Visconti, per Pasolini, per Balthus, per Socrate, per Platone, per Moravia, per Simenon, per Henry Miller, per Kennedy e per quegli attori americani che hanno confessato la loro sex addiction.
Tutto questo per Caselli è reato e merita di essere condannato non moralmente ma penalmente. È ingiusto ed eversivo ribellarsi, inaccettabile rivendicare la riservatezza per la sfera privata, ancorché di un premier. Eppure abbiamo combattuto con Pannella e con tutti i difensori delle libertà perché «nessuno tocchi Caino». Battaglie anacronistiche? Principi indifendibili per l’idolatria dell’accusa? Da nessun punto di vista riesco a giustificare questa indagine penale. Ad evidenza nulla di penalmente rilevante. E però comincio a capire ora perché essa è stata concepita. È penale perché riguarda il pene. È per questo equivoco che ne stiamo parlando. I magistrati di Milano non hanno potuto resistere alla formidabile attrazione del pene. E lo hanno visto al centro di una vicenda che si muove intorno a quello più simbolico ed emblematico del presidente del Consiglio come rappresentante di tutti gli italiani.

Punendo lui hanno inteso punire tutti i peccatori credendo di essere non un tribunale laico ma un tribunale ecclesiastico e hanno voluto mettere in discussione le ragioni del pene. È in questo senso che la loro indagine è penalmente rilevante. Ma di pene si tratta, non di pene.

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