Casini al governo, la Lega dice no ma...

È il momento dei distinguo, degli altolà tattici, del riposizionamento sulla scacchiera della politica. L'ipotesi di cambiare in corsa l'assetto del governo, dentro l'Udc fuori i finiani, sta creando un ovvio trambusto. Casini nega, Maroni e Bossi escludono categoricamente, La Russa commenta: mai dire mai. Ognuno dice una mezza verità, per non scoprire le carte di una partita che si preannuncia complessa e per tranquillizzare il proprio elettorato. Ogni accordo ha un prezzo, quello di modificare gli assetti del potere non può che essere alto, per cui meglio mettere le mani avanti per poi trattare le condizioni da posizioni di forza.
Sulla possibilità di successo dell'operazione il ruolo decisivo lo gioca  la Lega, alleato imperdibile per Silvio Berlusconi. Ovvio che Bossi non veda di buon occhio l'allargamento della maggioranza. Per antipatia personale nei confronti di Casini, per un diversa prospettiva politica ma soprattutto perché più la Lega è indispensabile alla tenuta del governo più lui è contento. Un Pdl fragile per la Lega è una manna: ogni suo desiderio, in queste condizioni, è quasi un ordine, tanto che a Fini i fans padani dovrebbero fare un monumento in piazza. L'unico risultato che fino ad ora il presidente della Camera ha ottenuto è infatti quello di rafforzare il suo nemico Bossi.
La negativa reazione a caldo della Lega non deve però portare a conclusioni affrettate, cioè che il progetto Udc sia morto ancora prima di essere discusso. Il fatto che alla cena a casa Vespa tra Berlusconi e Casini fossero presenti anche il super banchiere Cesare Geronzi e il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, significa che anche un pezzo importante e autorevole del sistema Paese è interessato all'ipotesi di dare maggiore stabilità a questo premier e a riportare il partito dei cattolici italiani nel suo alveo naturale, quello del centrodestra di governo. Non è cosa da poco. I due commensali, e il mondo che rappresentano, all'occorrenza potrebbero avere argomenti sufficienti da convincere anche i più scettici a dare il via libera a operazioni di buon senso.
La Lega, tra l'altro, non è più il monolite di un tempo. Alla pari del Pdl, il virus delle correnti ne sta erodendo le fondamenta. I colonnelli sono cresciuti, si sono moltiplicati e sono in concorrenza tra loro. Il caso Brancher, un pasticcio targato Calderoli, ha creato all'interno non pochi malumori e innescato nuove rivalità che Bossi fatica a tenere a freno. In questo clima, con tutti che trattano con tutti, spesso in ordine sparso, nulla si può escludere a priori.
L'unica certezza è che Gianfranco Fini e la sua pattuglia hanno perso la centralità che hanno avuto negli ultimi due mesi. La vita di questa legislatura non è più nelle sue mani, ammesso che mai ci sia stata. Il progetto alternativo c'è e non lo prevede come attore protagonista.

A meno che, dopo aver tradito Casini offrendo An a Berlusconi e dopo aver tradito Berlusconi, non voglia ora mollare al loro destino anche Bocchino e Granata. Operazione meno impegnativa delle precedenti ma inutile perché fuori tempo massimo.

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