Cassazione, insulto libero sulla mail

Viaggia «impunito» l'insulto spedito per posta elettronica. Se ne è accorta la Cassazione spiegando che la legge non prevede come reato questa forma di 'aggressione scritta non equiparabile alle «molestie» imbustate negli sms offensivi e recapitati sul cellulare che, invece, sono sanzionati. Insomma le mail oltraggiose, ricche di parole malevoli, non sono perseguibili come avviene non solo agli sms «cattivi» ma anche alle telefonate degli stalker, o alle citofonate invadenti e inopportune.
Il motivo di questa distinzione sta nel fatto che - spiega la Suprema Corte con la sentenza 24510 - le mail non sono invasive come un messaggino, una telefonata o una scampanellata a notte tarda. Prima bisogna collegarsi alla rete, poi bisogna aprirle. Insomma le missive elettroniche non arrivano all'istante, a tradimento, come avviene per una telefonata sgradevole o un messaggino minaccioso, e può passare del tempo tra quando sono state impostate e quando vengono aperte. Circostanze, queste, che provocano un minor «turbamento» della nostra quiete.
A trarre vantaggio da questa tesi è stato Marco D. A., un quarantunenne di Cassino, condannato dal Tribunale a 200 euro di multa per aver mandato a Giulia O., una sua conoscente, una mail di «apprezzamenti gravemente lesivi della dignità e della integrità personale e professionale» del suo convivente. I supremi giudici lo hanno assolto completamente dall'accusa di molestie - mentre per quella di ingiuria non si è potuto procedere dal momento che Giulia O. non aveva sporto querela - nonostante la Procura del Palazzaccio avesse chiesto solo di dichiarare la prescrizione del reato, commesso il 17 gennaio del 2004, e non la sua insussistenza. Approfondendo la «natura» delle mail, la Cassazione osserva che «la modalità della comunicazione elettronica è asincrona perché l'azione del mittente si esaurisce nella memorizzazione di un documento di testo (con la possibilità di allegare immagini, suoni o sequenze audiovisive) in una determinata locazione dalla memoria dell'elaboratore del gestore del servizio, accessibile dal destinatario; mentre la comunicazione si perfeziona solo se e quando il destinatario, connettendosi a sua volta all'elaboratore e accedendo al servizio, attivi una sessione di consultazione della propria casella di posta elettronica e proceda alla lettura del messaggio».


Per questo - conclude la Suprema Corte - la posta elettronica, al pari della posta tradizionale, «non comporta (a differenza della telefonata o della citofonata) nessuna immediata interazione tra il mittente e il destinatario, né alcuna intrusione diretta del primo nella sfera delle attività del secondo». Quindi non c'è molestia ma, semmai, solo ingiuria.

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