La Cassazione: semilibertà anche per i clandestini

Per la Corte la mancanza del permesso di soggiorno non impedisce al giudice di concedere misure alternative al carcere

da Milano

Anche per i clandestini, colpevoli di reati penali, esiste un’alternativa al carcere. Le quattro mura di una prigione non sono l’unica pena possibile. La mancanza del permesso di soggiorno, infatti, non impedisce al giudice di concedere misure alternative alla detenzione in carcere, agli stranieri extracomunitari che, entrati illegalmente in Italia, siano nella condizione di clandestini.
A stabilirlo sono le sezioni unite penali della suprema corte che hanno dato risposta affermativa alla questione di diritto che era stata loro sottoposta: «Se in materia di esecuzione della pena, le misure alternative alla detenzione in carcere (nella specie: affidamento in prova al servizio sociale) possano essere applicate allo straniero extracomunitario che sia entrato illegalmente in Italia e sia privo di permesso di soggiorno».
A chiedere l’intervento delle sezioni unite è stata nel dicembre scorso la prima sezione penale della cassazione. In una sua ordinanza ha infatti sottolineato la presenza di un contrasto nella giurisprudenza. Se, da una parte, infatti si era ritenuto che la condizione di clandestinità dello straniero detenuto di per sé è preclusiva dell’applicazione di misure alternative; dall’altro si era formato un opposto orientamento. Favorevole, questa volta, alla possibilità di concedere misure diverse dalla detenzione, visto che la condizione di straniero privo di permesso di soggiorno non è di per sé ostacolo alla concessione della semilibertà.
Tale misura, si sottolineava nell’ordinanza, consente infatti uno spazio di libertà molto ridotto (e quindi controllabile), senza che poi l’espiazione della pena in regime di semilibertà comporti alcuna violazione o alcuna elusione delle norme in materia di immigrazione clandestina. Non solo, nell’ordinanza di rimessione alle sezioni unite, si è anche fatto presente che, sempre in una sentenza della prima sezione penale, veniva sottolineato il «preminente valore costituzionale della funzione rieducativa della pena, sotteso ad ogni misura alternativa alla detenzione in carcere», mentre veniva precisato che esso «deve costituire la necessaria chiave di lettura delle disposizioni dell’ordinamento penitenziario» con la conseguenza che si può affermare, alla luce dei principi della costituzione, che l’applicazione delle misure alternative non può essere esclusa a priori nei confronti degli stranieri privi di permesso di soggiorno, raggiunti da un’espulsione amministrativa da eseguire dopo l’espiazione della pena. Né l’ordinamento penitenziario, né il testo unico sull’immigrazione, così come modificato dalla legge Bossi-Fini, si sottolineava ancora nella stessa sentenza, contengono alcun divieto di applicare le misure alternative a quanti, condannati, sono stranieri entrati illegalmente in Italia.

Nella stessa decisione si concludeva sostenendo come non si possa affermare che l’unica condizione possibile per lo straniero condannato sia quella della detenzione in carcere, visto che il provvedimento che concede le misure alternative costituisce comunque titolo di permanenza nel territorio nazionale.

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