da Washington
La Sibilla Fidel ha parlato di nuovo, e ancora una volta le sue parole sono sibilline: sono aperte a un ventaglio di interpretazioni, che vanno da un imminente addio del dittatore al potere a una complessa manovra al fine che nulla cambi. Chi chiedesse lumi al governo di Washington non ne ricaverebbe grandi aiuti.
«È un documento interessante - dice la Casa Bianca - ma è difficile decifrare che cosa significhi. A causa di questa difficoltà, e nel dubbio, gli Stati Uniti continueranno a lavorare per la democrazia a Cuba e a sperare che quel giorno arrivi presto».
Non è solo cautela diplomatica: è legittima perplessità. Il messaggio che il Líder Máximo ha spedito ai suoi sudditi e al mondo è davvero contraddittorio, probabilmente abile, certamente contorto. A cominciare dalloccasione: un intervento (non di persona, come accade dallinizio della grave malattia di Fidel) in una tavola rotonda alla televisione dellAvana su un tema effettivamente lontano: le interpretazioni degli accordi raggiunti a Bali sul cambio climatico. Alla fine del testo un salto di argomento: le congratulazioni a Oscar Niemeyer, larchitetto brasiliano - e comunista indefesso - che ha compiuto 100 anni e continua a lavorare.
Omaggio doveroso quello di Fidel, un inno alla longevità operosa che lascerebbe supporre la proclamazione della sua intenzione di fare altrettanto. Invece il discorso fa un salto: Castro coglie loccasione per comunicare che «il mio dovere fondamentale non è di stare aggrappato alla mia carica e di ostacolare la carriera di persone molto più giovani, bensì di conservare e consegnare esperienze e idee il cui modesto valore deriva dallepoca eccezionale in cui sono vissuto».
Un addio, dunque, una abdicazione? Forse, ma forse anche il contrario. Se Fidel intendesse ritirarsi dalla vita politica, infatti, gli basterebbe ritirare la sua candidatura alle imminenti elezioni - ovviamente a partito unico - per lAssemblea Nazionale del Potere Popolare, previste al più tardi per il 5 marzo, cui Castro si è invece appena candidato, nella circoscrizione di Santiago De Cuba, una città dalle antiche tradizioni culturali e dal forte connotato ispanico, nota da noi anche per una famosa ode di Federico García Lorca.
Un Parlamento che non conta nulla, ma che sceglierà i 31 membri del Consiglio di Stato, far parte del quale è, secondo la Costituzione cubana, un requisito indispensabile per diventarne presidente, una carica che Castro detiene da quando ha preso il potere quasi cinquantanni fa.
Allora Castro non si ritira? Alcune delle sue parole sembrano indicarlo, ma molto indirettamente. Per esempio laccenno alla «profonda convinzione» del dittatore che i problemi attuali della società di Cuba, «che ha un grado di istruzione molto alto e quasi un milione di laureati, richiedono più varianti di risposta a ogni problema concreto di quelli che sono contenute in una scacchiera».
Se vi sembra enigmatico ascoltate il seguito: «Non si può ignorare un solo dettaglio. Quando lintelligenza umana lotta in una società rivoluzionaria per prevalere sugli istinti».
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