Un cattolico vota Pdl perché difende i principi liberali

Vorrei spiegare le ragioni per cui nelle prossime elezioni per il Comune di Milano voterò Letizia Moratti.
Una premessa va fatta, ed è che io sono uno scrittore e che per varie ragioni frequento il mondo dello spettacolo. E poiché in questi ambiti quasi tutti sono di sinistra, è normale che io abbia molti amici di sinistra. Secondo un noto giornalista io sono l’unico scrittore italiano che stia dalla parte opposta. Non credo: forse sono semplicemente il solo a dichiararlo.

Non sono mai stato di destra. La mia miglior definizione politica me l’ha data mio fratello: «non certo di sinistra». È così che mi penso.
La prima ragione per cui non sono di sinistra è che non credo che la politica risolva i problemi del mondo, e men che meno che lo possano fare le istituzioni. Penso, invece, che «le forze che cambiano la storia siano le stesse che cambiano il cuore dell’uomo», come diceva molti anni fa don Giussani.

Ora, né la destra né la sinistra possono cambiare il cuore dell’uomo. Diversi sono però i margini di azione della libertà personale nelle due concezioni. Un governo cittadino che si ispira a un principio liberale non può non riconoscere nella persona umana la fonte di tutti i diritti, mentre un governo fondato su principi statalisti considera i diritti come qualcosa che l’istituzione concede al cittadino. E io sto con la prima di queste ipotesi.

L’operato di Letizia Moratti in questi anni si presta a diverse critiche. Dall’ecopass alla gestione di Palazzo Reale, dal teleriscaldamento ai lavori pubblici fatti due volte, dall’arroganza che ho riscontrato in certi suoi collaboratori alla ristrutturazione di alcune aree cittadine (perché tutto questo vetro?, che c’azzecca con Milano?), i cahiers de doléance non mancano. Penso anche che in questi anni molto denaro perlomeno «strano» abbia circolato per la nostra città. Molte altre cose però, bisogna ammetterlo, in questi anni sono state fatte, e alcune di queste sono state fatte grazie alla nostra sindachessa. Se si può criticare la mancanza di informazione circa lo stato dei lavori per l’Expo, o la scelta di alcuni funzionari non all’altezza, non si può negare che la signora Moratti abbia portato a casa questo risultato, così come quello delle linee metropolitane 4 e 5, che adesso creano disagio con tutti i lavori in corso ma che porteranno alla città un enorme beneficio.

Soprattutto, in questi quattro anni è stato varato il Piano per il governo del territorio (Pgt), dove quel fondamento liberale trova la sua espressione in un modello del rapporto pubblico-privato nuovo, almeno per l’Italia, e a mio parere persuasivo.
L’Italia, si sa, soffre di un peccato d’origine: un rapporto conflittuale, sospettoso, tra cittadini e cosa pubblica. La sfiducia reciproca è spesso palpabile, come dimostra lo scarso gradimento ottenuto dai festeggiamenti per questi 150 anni di Italia.

Ora, per tornare al Pgt, non dico che esso non sia perfettibile, ma soltanto che l’idea di una collaborazione paritaria tra pubblico e privato nella costruzione del bene comune, modificando quel rapporto malato, può diventare (e sottolineo può) la chiave affinché Milano si riaffacci alla storia da protagonista.
Dico questo perché Milano è una città speciale, nella cui edificazione il potere pubblico - civile, militare o religioso - ha avuto una parte minore rispetto ad altre città. Città adottiva, città meticcia fin dalla sua origine o giù di lì, Milano è stata fatta soprattutto dai milanesi. La sua eccezionalità, da Ambrogio e Agostino fino a Leonardo, da Carlo Borromeo al cattolicesimo sociale fino al design industriale e alla moda made in Italy, sta in questo. E poiché il male di cui la città ha sofferto in questi anni è essenzialmente culturale - l’ho chiamato «il crollo delle aspettative» - trovo che il nuovo Pgt esprima una cultura molto vicina a quella della nostra storia cittadina. È nuovo, ma con radici profonde.

Non so se questo risolverà i problemi della città, ma forse aiuterà a leggerli nel modo giusto. Per esempio, è molto difficile che in una città come Milano il problema delle piste ciclabili possa essere risolto a livello infrastrutturale, mentre una fattiva collaborazione tra Comune e cittadini - zona per zona, quartiere per quartiere - ha sicuramente molte più chances.

Tutti oggi dicono di affermare il principio di sussidiarietà. Ne esistono però due versioni. La prima, sostenuta da Pisapia, ritiene che «pubblico» sia soltanto ciò che porta questo marchio, e perciò considera il cittadino supplente della cosa pubblica, là dove essa non possa esercitare la sua funzione. Che questo livello esista, nessun dubbio: penso, ad esempio, alle comunità familiari che si occupano di affidi temporanei.

Ma esiste anche una versione del principio, secondo la quale «pubblico» non è innanzitutto il soggetto, bensì la funzione. Il cittadino privato non è soltanto qualcuno che pensa al proprio interesse (come vuole il vecchio pregiudizio): un’azione infatti ha valore etico solo se porta un beneficio al mondo, perciò la dimensione pubblica appartiene alla natura profonda del nostro agire.

Così, anche lo Stato o il Comune devono essere supplenti di un compito che appartiene, in prima istanza, al singolo cittadino in quanto cittadino, membro di una comunità civile. La grande polemica sulla scuola cosiddetta «privata» è un esempio delle posizioni in gioco su questo punto.

Il principio liberale, illustrato da alcuni risultati (primo fra tutti il Pgt) è la ragione per cui io voto e invito a votare per Letizia Moratti.

La mia è una posizione laica, ma dalla radice cattolica. Non voto per i più buoni, come chiede di fare qualche prete (anche perché i più buoni non esistono), ma per chi non può negare alla persona il valore pubblico della sua libertà.

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