Cefalonia, l'eccidio non è archiviato

La procura militare di Roma apre un’inchiesta su un militare oggi novantenne. Si indaga su un ex caporale tedesco: avrebbe ucciso 74 ufficiali italiani. Ma tocca agli storici fare giustizia

Cefalonia, l'eccidio  non è archiviato

L’archeologia giudiziaria recupera dalle tenebre del passato nomi, episodi, immagini atroci. Un esercito di ombre rivive nella carte della Procura militare di Roma insieme ad un nuovo atto d’accusa. Per la strage di Cefalonia dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 - circa 5mila morti della divisione «Acqui»: in parte durante i combattimenti nell’isola, in parte per le fucilazioni di massa, in parte per il naufragio di navi che portavano i superstiti verso la prigionia - si fa ora il nome d’un indagato: l’ennesimo, dopo una serie di processi dalle conclusioni contraddittorie.

Anzi il nome non lo si fa, si sa soltanto per ora che è un novantenne ex caporale del 54mo battaglione Cacciatori di montagna. Il caporale avrebbe partecipato all’esecuzione sommaria, nella tristemente famosa «casetta rossa» di Cefalonia, di 73 ufficiali italiani che si erano arresi. A distanza di sessantotto anni dall’orrendo crimine, la prescrizione sarebbe dovunque calata su di esso. Ma i misfatti contro l’umanità perpetrati dai nazisti sono stati dichiarati imprescrittibili.

L’ex caporale tedesco - che sembra abbia a suo tempo ammesso la circostanza, anche se oggi respinge le accuse - è accusato di «concorso in violenza con omicidio continuato commessa da militari nemici in danno di militari italiani prigionieri di guerra», un reato aggravato da una serie di circostanze, tra cui quelle di aver commesso il fatto «con premeditazione», «per motivi abietti», «adoperando sevizie verso le vittime». L’indagato, in particolare, «avrebbe concorso, anche partecipando materialmente alle operazioni di fucilazione, alla uccisione di 73 ufficiali italiani aventi lo status di “prigionieri di guerra”».

Cefalonia è per noi italiani, e sarà sempre, un luogo legato a un martirio. Tante volte è stata rievocata la storia del tentativo di resistenza contro i tedeschi - uno dei pochissimi in quello che fu un immane rastrellamento - e il suo tragico fallimento. Non sono mancate le polemiche, anche sulla figura del comandante della divisione, generale Antonio Gandin, che ebbe molte incertezze: ma, catturato, morì da valoroso. Buttando a terra la croce di ferro che Hitler gli aveva concesso prima d’essere fucilato nella schiena.
Vi furono sbandamenti e incertezze a Cefalonia e a Corfu, ed era difficile che accadesse il contrario nell’accavallarsi di ordini incompatibili l’uno con l’altro via radio. Ve ne furono di ben peggiori lontano da Cefalonia. Dall’isola, subito dopo l’armistizio, erano stati inviati messaggi invocanti aiuto.

A Brindisi si trovava un uomo di fegato, il contrammiraglio Giovanni Galati che oltretutto conosceva bene Gandin. Scelse due torpediniere, la Sirio e la Clio, le caricò di armi, medicinali e munizioni, e fece rotta per le isole. Ma da Taranto l’ammiraglio inglese Peters dispose che le due torpediniere rientrassero avendo salpato le ancore senza autorizzazione dei vincitori. Un clamoroso esempio di stupidità militare.

Non indugio nella rievocazione dell’eccidio che troppe volte è stata amaramente fatta. Premendomi soltanto di evitare - perché retorici e infondati - i pretesi collegamenti tra il sacrificio sul campo di battaglia d’una divisione tradita dall’ignavia degli alti comandi (come lo furono tutte le forze armate italiane) e pulsioni antifasciste o resistenziali.

Resta la vicenda del caporale che sarebbe stato tra i boia degli ufficiali italiani. Il ricordo dei quelle efferatezze mi fa orrore. Ma ho la convinzione che una pretesa di giustizia quasi settant’anni dopo i fatti sia un grottesco paradosso burocratico. Meglio chiudere la pratica giudiziaria (non la ricerca storica, però).

Lo esige il buonsenso che, anche in mancanza d’una prescrizione ufficiale, conosce l’esistenza d’una prescrizione reale. Oltretutto la meritano, la chiusura degli immani faldoni, i poveri caduti di tanto tempo fa ai quali nulla importa la virtuale condanna d’un sopravvissuto.

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