In cella Oppedisano, superboss «democratico»

Reggio Calabria«Non c’era ancora in giro come il fatto del Vangelo, non esisteva, gliela abbiamo data a compare Pasquale Napoli sempre noi qua di Rosarno, compare Pasquale Napoli ha portato avanti Ciccio Alvaro... Ciccio Alvaro aveva portato compare Pasquale della Santa... abbiamo fatto le cariche ed abbiamo cominciato a dare uno per paese... abbiamo scelto noi uno...abbiamo fatto il giro della piana, poi abbiamo preso da Bagnara fino ad arrivare a Brancaleone...». È una delle intercettazioni dell’inchiesta che ieri mattina ha portato in carcere oltre 300 adepti della ’ndragheta calabrese in varie parti di Italia, e che ha fatto luce sulla nuova organizzazione della mafia calabrese. A parlare sotto un agrumeto del suo immenso giardino è Domenico Oppedisano da Rosarno, 80 anni, capo indiscusso della ’ndrina calabrese che aveva i suoi poteri anche a livello internazionale. In pratica Oppedisano comandava in Calabria, come in Lombardia, a Torino come a Genova, a Toronto come a Chicago, a riferirlo sono gli investigatori della direzione distrettuale antimafia di Milano e Reggio Calabria. A provarlo e confermarlo ci sono due anni di intercettazioni. «Ci vuole un responsabile... ogni cosa che si fa... si fa con l’accordo di tutti», spiega Oppedisano a Bruno Nesci in una conversazione intercettata, come funziona il vertice dell’organizzazione. Nella conversazione del 30 dicembre 2008 Nesci sottolinea che «se uno ha una carica è sempre il capo, è il caposocietà... e gli altri devono fare quello che dice lui». Oppedisano replica: «Per l’amor di Dio, no. Quando si fa una proposta si ascolta gli altri per vedere come la pensano... in maggioranza tutto passa, ma se la maggioranza è contraria...». Un concetto ribadito a Santo Caridi in un’altra conversazione intercettata nell’agrumeto di Oppedisano a Rosarno il 31 gennaio 2009 da cui emerge, sottolineano gli investigatori, il ruolo di vertice dell’ottantenne. «Tu... tu conti quanto un altro - dice il boss - quando facciamo le votazioni, per una volta la fai tu la votazione, e una volta la faccio io, che cosa conti tu... tu devi vedere di impostare la situazione per la pace, no in allarme».
Oppedisano, dall’alto del suo ruolo quello che tutti i capi delle famiglie reggine gli avevano conferito cercava il consenso di tutti anche per le decisioni più difficili, perché sottolinea il vecchio patriarca «qui bisogna essere tutti uniti». Oppedisano era a capo della «provincia», la nuova struttura organizzativa verticistica della ‘ndragheta, dal mezzogiorno del 2 settembre dello scorso anno, quando entrarono in vigore le decisioni prese all’ombra del santuario di Polsi nel cuore dell’Aspromonte qualche giorno prima, il 19 agosto, in occasione del matrimonio di due sposi speciali: Elisa Pelle, figlia di Giuseppe Pelle detto Gambazza capo della storica famiglia di San Luca, e Giuseppe Barbaro, figlio del boss di Platì. Quel giorno la «provincia» aveva anche nominato le altre cariche associative: capo società Antonino Latella di Reggio Calabria, mastro generale Bruno Gioffrè di San Luca, mentre la carica di mastro di giornata era andata a Rocco Morabito, figlio di Peppe Tiradrittu di Bruzzano.
E mentre è seduto con gli altri Oppedisano detta le sue linee guida. «I gradi, le affiliazioni, dare qualcosa a qualcuno - dice il boss - due volte l’anno, tre volte l’anno.

E prima che si fa, lo devono sapere tutti... pure gli ho messo la prescrizione a quelli di... Milano là... I milanesi sono combinati male pure là... si devono aggiustare prima tra loro e poi... La prescrizione è la stessa... due tre volte l’anno».

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