Il centrodestra tolga dall’ombra i valori liberali

Il centrodestra tolga dall’ombra i valori  liberali

Egidio Sterpa

C’era una volta in Italia un piccolo partito chiamato liberale, ch’era l’erede degli ideali risorgimentali, aveva radici culturali nel pensiero di filosofi ed economisti inglesi (due per tutti Locke e Adamo Smith), di pensatori francesi (anche qui due: Constant e Montesquieu) e soprattutto ovviamente di Cavour. È scomparso, travolto ingiustamente dalla bufera politico-giudiziaria degli anni Novanta. Ne sono rimaste poche e deboli testimonianze, soprattutto nel centrodestra. Qualche nome: Martino, Biondi, Costa, Urbani e, se è permesso autocitarsi (soprattutto per coerenza) il sottoscritto. C’è anche chi tenta, un po’ a sinistra e un po’ a destra, di farlo sopravvivere senza risultati tangibili però.
Ci sono ancora in circolazione due ex segretari di quel piccolo glorioso partito, Altissimo e Zanone, che negli anni Settanta furono legati da una giovanile solidarietà e oggi sono irreparabilmente divisi da visioni nettamente contrastanti: Altissimo dignitosamente in disparte ma attento con spirito critico alla politica del centrodestra; Zanone deciso, a quanto pare, a schierarsi acriticamente col centrosinistra.
Si direbbe che come gli ebrei di un tempo i nostri liberali si siano spersi nel variegato mondo politico utilizzati taluni come fideiussori per nuovi movimenti o addirittura per partiti che liberali non sono mai stati, ma ovunque spesso mal sopportati. La loro insopprimibile voglia di rimanere se stessi li porta a fare il tentativo di influenzare lo schieramento politico in cui gli eventi storici li hanno condotti, ma con scarso successo.
Di intellettuali impegnati al recupero di valori e ideali liberali non ce ne sono più molti. Né deve meravigliare, e non solo perché coerenza e fermezza ideale non sono patrimonio costante di chierici laici (è esemplare la lezione di Julien Benda), ma soprattutto perché in molti si tengono lontani dalla politica, che in verità ha procurato non poche delusioni. I più autorevoli, del resto, appartengono al passato: a parte Croce ed Einaudi, padri storici, tra i più recenti sono venuti a mancare studiosi come Rosario Romeo, storico, la cui biografia di Cavour è un monumento letterario, e Nicola Abbagnano, filosofo e liberale veramente moderno, sulla cui storia della filosofia si sono formate più generazioni. Tra i pochi rimasti vanno citati Nicola Matteucci, grande studioso di Montesquieu, e tra i fondatori de «Il Mulino», e Dario Antiseri, che agli italiani ha fatto scoprire Karl Popper, l’autore de «La società aperta e i suoi nemici».
Un tempo, nel lungo secondo dopoguerra del Novecento, i liberali, sempre pochi e disorganizzati (ci sono belle pagine di Panfilo Gentile a dirci quanto disordine e sprezzo dell’organizzazione ci fosse in via Frattina), trovarono posto nel centro politico. Fu merito di De Gasperi, che li volle con sé per laicizzare almeno un po’ culturalmente oltre che politicamente, la Dc, partito cattolico con qualche spessa vena fondamentalista. Il piccolo partito liberale si trovò però come stretto tra due «Chiese», quella cattolica e quella comunista, l’una democratica e interessata ad averlo alleato, l’altra decisamente illiberale.
La presenza liberale al governo servì certamente a garantire almeno lo «Stato di diritto», ma servì a poco in economia, perché - come ha scritto l’ottimo Panebianco - dalla gestione democristiana venne fuori il paese più statalizzato del mondo occidentale. Va annotato, per la storia, il tentativo fatto da Malagodi di far valere l’influenza liberale nella politica italiana. Le sue battaglie contro il regionalismo e contro le partecipazioni statali sono tra le migliori nella storia del Pli del secondo Novecento. Citata va anche la legge sulle privatizzazioni, la prima in Italia, che i liberali vollero e imposero nel governo Andreotti del 1989-92, che fu poi svirilizzata dai successivi governi con l’invenzione della «golden share» (per questa storia è interessante la lettura del libro di Biagio Marzo: «Fatti e misfatti delle privatizzazioni», Marsilio editore).
È davvero un peccato che quanto resta del liberalismo italiano - idee e uomini - sia oggi in ombra, circondato per lo più da indifferenza, mentre hanno finito per prevalere idee e uomini che il liberalismo non sanno che cosa sia e non l’hanno mai praticato. Il problema, allo stato delle cose, non è riavere un partito che si chiami liberale, ma che valori e idee liberali entrino proficuamente nel dibattito politico.

Valori e idee che potrebbero davvero dare alla nostra politica, soprattutto quella di centrodestra, lo choc di cui ha tanto bisogno. Bisognerebbe meditare sul fatto che la buona salute economica di cui godono Irlanda e Spagna è dovuta in gran parte alle misure liberali adottate.

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