Che obbrobrio il museo dell’Ara Pacis

Che obbrobrio il museo dell’Ara Pacis

Punta Perotti! Punta Perotti! È questo il grido a cui i cittadini di Roma affidano i loro auspici per una soluzione futura, ma non troppo futura, che ripari allo scempio dell’Ara Pacis, inaugurata ieri, con insolente e beffarda coincidenza con il Natale di Roma, per restituire alla città l’altare di Augusto. In verità, più che restituirla, l’Ara Pacis, la si è sottratta, perché l’orrida architettura concepita da Richard Meier ferisce irrimediabilmente, con le ombre delle sue paratie, i fianchi in vista del mirabile monumento. L’inutilmente grande architettura, rispetto alla semplice copertura del 1938 dell’architetto Ballio Morpurgo, abbattuta per compiacere i sogni di gloria dell’allora sindaco Rutelli, ingombra lo spazio con volumi inerti e inespressivi, con murature di travertino grezzo senza in alcun modo avvantaggiare la visione del monumento. La città patisce, nel cuore del centro storico, un intollerabile insulto attraverso un edificio indegno di un’informe periferia suburbana, il cui modello è un garage multipiano o una vetrina per esposizioni di automobili.
I primi a guardarlo con perplessità mista a orrore sono gli operai che lavorano a montare le lastre di travertino, i quali ne vedono l’articolazione dei piani tra linee rette e linee oblique, le terrazze sporgenti, le inutili vetrate, l’obelisco di cemento armato modellato su un asparago. Tutto con l’inutile trionfalismo del sindaco e dell’amministrazione stretta intorno al direttore dei lavori e ai direttori di musei che, con arroganza senza precedenti, hanno imposto a Roma questa inutile, intollerabile pena. Per quanto tempo? Il ministero dei Beni Culturali è stato complice dell’amministrazione comunale, ha autorizzato ciò che a nessun privato sarebbe stato concesso, non ha esercitato il proprio potere di tutela. E lo stesso governo Berlusconi, ignorando lo scempio in atto, ha sconfessato l’opposizione che in Campidoglio denunciava quello che stava avvenendo. Tutti insensibili, complici, dal Comitato di settore ai Direttori generali ai sovrintendenti. E chi in nome di regole elementari, oltre che di valori di civiltà, si era opposto, come toccò a me, venne guardato come un guastafeste e accusato di ritardare l’esecuzione della grandiosa opera. Quella che, oggi, un’amica, vedendone le immagini in televisione, definisce in modo efficace: «Ho appena visto lo schifo che hanno innalzato intorno all’Ara Pacis... sarò cretina io che non capisco», cretina come tutti i cittadini romani che hanno oggi finalmente visto disvelato il cantiere. Vox populi.
Qualche mese fa, in un comunicato dell’assessore Morassut, si faceva riferimento all’intollerabile ingerenza dell’allora sottosegretario Sgarbi che, in tutti i modi, aveva cercato di impedire la realizzazione del progetto di Meier. Ovviamente determinando ritardi che la sua fortunata espulsione dal governo ha contenuto. Questa è la sostanza. Il meraviglioso progetto, tale e quale una pompa di benzina nel Texas, nel luogo del perduto Porto di Ripetta, opera dell’architetto americano Richard Meier (di cui Federico Zeri diceva «Conosce Roma come io conosco il Tibet dove non sono mai stato») si è potuto finalmente realizzare. Morassut dimentica che la mia posizione era condivisa da larghissima parte della cosiddetta società civile e da tutti gli architetti, spesso in forte contrasto con me, di qualunque posizione, ideologia, scuola, da Fuksas ad Aymonino, da Portoghesi a Gregotti, da Krier a Muratore, da Cervellati a Marconi: un coro di no contro una prepotente volontà politica.
Per tentare di dare una legittimazione all’infelice progetto, il ministero, dopo la mia uscita, istituì una commissione presieduta da un altro celebre storico dell’architettura, Leonardo Benevolo, contrario al progetto. Naturalmente la commissione non ebbe la forza di determinare una resistenza alla incredibile, faraonica struttura, ma neppure di indicare correzioni o variazioni. I cittadini potranno così vedere fino a che punto può arrivare l’arroganza di chi compie il male e ne è orgoglioso, indifferente alla storia e alla memoria. Le prerogative dell’opera sono di usare il monumento per la gloria dell’architetto. L’Ara Pacis che era un tempo visibile anche dall’esterno, è ora nascosta, incamerata, sottratta alla città per sostituirla con l’ingombrante parallelepipedo di Meier. L’opera che era offerta alla città, con i bellissimi bassorilievi augustei, è oggi nascosta e la struttura che vediamo ha lo stesso significato che avrebbero dei grattacieli moderni al posto delle torri di San Gimignano. Lo Stato non ha difeso né la città né il suo monumento e ciò appare tanto più grave non solo per l’orrore che ne è derivato ma anche per la disconoscenza di un bene che non appartiene al comune ma al patrimonio nazionale ed era stato depositato presso l’allora governatorato senza cederne la proprietà. Così il ministero ha consentito che di un proprio bene facesse l’uso che voleva l’amministrazione comunale che era soltanto affidataria.

La mia ingerenza era dunque motivata, anche in rispetto dell’indiscusso titolo di proprietà. Ma non è bastato e oggi il comune di Roma può usare ed abusare di un bene che non è suo, e non poteva farlo peggio. E hanno pure il coraggio di inaugurarlo!

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