Nellillustrare gli esiti dei rilievi compiuti, uno degli investigatori sentiti ieri davanti alla III Corte dAssise nel processo per lomicidio di Simonetta Cesaroni, ha utilizzato una serie di fotografie. In circa 4 scatti, «la storia» delle prime fasi dellinchiesta, dal momento dellirruzione negli uffici di via Poma dellAssociazione degli ostelli della gioventù dove fu trovato il corpo senza vita della ragazza. In alcuni scatti il corpo di Simonetta riverso in terra in una delle stanze. Raniero Busco, ex fidanzato di Simonetta Cesaroni e unico imputato nel processo, non è riuscito a sostenere la vista delle foto: ha abbassato quasi immediatamente lo sguardo.
«Nessun elemento è ancora emerso a carico del mio assistito - ha detto lavvocato Paolo Loria, legale di Busco -. Finora non è emerso nulla di nuovo, aspettiamo che laccusa dimostri la sua tesi. Quello che esce da questa udienza è che quella sera ci fu una grande confusione». In merito alla proiezione delle fotografie della scena del delitto in aula e alla eventuale reazione del suo assistito il penalista ha detto: «Non mi pare che le abbia guardate - ha detto - Non ha fatto nessun commento. Comunque già conosceva quelle foto perché sono nel fascicolo processuale».
Interesse, invece, per le ricostruzioni degli agenti che per primi giunsero sulla scena del delitto. «La portiera Giuseppa De Luca impiegò del tempo prima di darmi le chiavi dellufficio. Gliele dovetti strappare di mano. Ci disse che non capiva le ragioni di così tanta confusione, chiese più volte che cosa stesse succedendo» ha detto Marco Santangelo, il primo poliziotto della volante che la sera del 7 agosto del 1990 entrò, con due colleghi, nellufficio di via Poma dove cera il cadavere di Simonetta Cesaroni.
Confermando in sostanza quanto affermato nella precedente udienza dalla sorella della vittima, Paola, anche Santangelo ha parlato dello strano atteggiamento assunto dalla moglie di Pietrino Vanacore: «Non ci consegnò spontaneamente le chiavi per aprire la porta», ha raccontato. Stesso ricordo anche di un altro agente delle volanti, Luigi Piccinini, presente sul posto quella sera: «La portiera era alquanto titubante. Furono gli altri, la sorella della Cesaroni e il fidanzato, a dirci che era lei ad avere le chiavi di quellufficio».
Altri aspetti delle prime indagini su Busco sono stati chiariti in aula da Fabrizio Brezzi, della Squadra mobile, in risposta alle domande del pm Ilaria Calò. «Lo sentii negli uffici della Questura il 10 settembre del 1990 e i colleghi mi dissero che il suo era un alibi acclarato, già accertato. Per questo non glielo chiesi. In ufficio si diceva che non era il responsabile del delitto».
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