Ciaccio esplora il confine tra visibile e invisibile

«Leçon», lezione, e «Le son», il suono: gioca sulla somiglianza di suono e sulla differenza di significato dei termini francesi la mostra, curata da Remo Bodei, Le son des ténebrès di Roberto Ciaccio, a Palazzo Fontana di Trevi fino al 14 dicembre, tra arte, filosofia e musica. Quello che potrebbe sembrare un divertissement letterario, nasconde, in realtà, il significato filosofico, artistico e, perfino, musicale delle opere, in un susseguirsi di «multipli» che si rivelano profondamente diversi l’uno dall’altro, concepiti come pezzi unici e parte di un continuum in costante evoluzione. Un viaggio all’insegna della differenza - e, per contrasto, della somiglianza, che ne è il riflesso distorto - tra edizioni originali, monoprints, monotipi e grandi lastre di rame, ferro e zinco, realizzati dall’artista dal ’90 a oggi. Differenza come diversità quindi, che si lega però anche a un eterno differire, temporalmente inteso, dall’origine al Sublime. «Questa mostra - spiega Ciaccio - è nata dalla profonda consonanza affettiva e artistica che mi lega al maestro stampatore Giorgio Upiglio da 19 anni. Con lui ho sperimentato le diverse tecniche di lavoro, che ho deciso di esplicitare, trasformandole in opere, capaci di raccontare all’osservatore il processo che ha portato alla loro creazione. È una sorta di metalinguaggio dedicato a esiti e procedure di stampa, a partire dalle matrici che in un paradossale capovolgimento delle tecniche, finiscono per diventare opere mentre a loro volta le stampe si fanno matrici. Un modo per raccontare il sottile confine tra visibile e invisibile, udibile e non udibile». Filosofia, arte e, perfino, suoni. Da Berlino, dove è stata proposta in un’interpretazione prevalentemente filosofica - il portfolio di incisioni «Annotazioni di luce» è ispirato ad aforismi di Heidegger - l’esposizione arriva a Roma, in una rilettura musicale. L’opera Leçon de ténebrès/Le son des ténebrès.

Revenants - venti cartelle contenenti nove monoprints ciascuna, realizzati all’acquatinta e impressi su papier japon, oltre a una lastra di rame e a un colophon del poeta Tomaso Kemeny - ha ispirato due partiture per pianoforte, che sono state eseguite in prima assoluta in occasione delle serate inaugurali dell’esposizione: Tenebres: Lessons & Light di Philip Corner e Le son des ténebrès di Daniele Lombardi, che al piano abbina il suono vibrato, prodotto dal rifrangersi delle note sulle opere eseguite in metallo. E il «viaggio» espositivo non accenna a fermarsi. Alle due mostre se ne potrebbe, presto, aggiungere una terza «architettonica».
Ingresso libero.

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