Con "Eileen" Anna Hathaway seduce in un thriller psicologico inesploso

Nonostante due interpretazioni magnetiche e una veste accattivante, il film promette più di quel che mantiene, mischiando generi e raccontando la voglia di emancipazione di provincia

Con "Eileen" Anna Hathaway seduce in un thriller psicologico inesploso
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Eileen, il thriller cinematografico con protagonista una conturbante Anne Hathaway, è il classico film che resta intrappolato in una rete di promesse disattese.

Mischiare più generi cinematografici imbevendo il tutto di una voluta sensualità e di intenzioni dall’ambiguità attraente non è sufficiente a rendere il film qualcosa di più che una straordinaria vetrina per le interpreti principali.

Siamo nella Boston degli anni '60. La giovane Eileen (Thomasin McKenzie già vista in “Jojo rabbit” e “Ultima notte a Soho”) lavora come segretaria in un riformatorio minorile e si prende cura di Jim, il padre, ex poliziotto alcolizzato. La ragazza quando non è nella prigione fisica si trova ostaggio di quella esistenziale ma l'arrivo di Rebecca, la nuova psicologa del carcere, cambia tutto. La monotonia quotidiana è spazzata via dal potere seduttivo emanato dalla nuova collega. Rebecca non è solo bella, elegante, brillante e disinvolta, ma sembra interessata a stringere amicizia con Eileen, la quale quindi smette di sentirsi invisibile e si scopre rapita in alcuni momenti da una febbrile felicità. L’amicizia tra le due donne, però, prende una piega pericolosa quando Rebecca rivela ad Eileen un oscuro segreto.

“Eileen” è costruito per sembrare un’opera veramente edita negli anni '60, basti guardare ai caratteri dei titoli di testa e di coda e al logo d’epoca della Universal. William Oldroyd, al suo secondo film da regista, pesca a piene mani nell’immaginario attoriale della femme fatale nell’adattare sul grande schermo l’omonimo romanzo di Ottessa Moshfegh (Mondadori).

Il film si presenta carico delle suggestioni cinematografiche di certi titoli di Alfred Hitchcock e Brian De Palma per poi echeggiare (in versione dark) “Carol” di Todd Haynes. Anne Hathaway, dopo la performance in "Mothers' Instinct", continua a giganteggiare in un'eleganza anni 60 ma stavolta accessoriandola di parrucca bionda alla Marilyn Monroe.

Al centro della scena due donne agli antipodi tra loro: una è una dimessa ventenne talmente trattenuta e spossata dall'ordinarietà del quotidiano da fantasticare amplessi furiosi e immaginare cose efferate; l’altra è sofisticata, di città, ha studiato ad Harvard e sa avere a che fare con gli uomini. Inevitabile che quest’ultima diventi il detonatore dei desideri repressi della prima. Libertà per Eileen significherebbe emanciparsi e rivoluzionare la propria vita in maniera radicale e definitiva.

Siamo del resto di fronte a un melodramma psicologico sull'agonia di crescere in una piccola cittadina puritana. L’estetica è senz’altro affascinante e, sotto la patina compassata, serpeggia un’allure erotica alimentata in maniera programmatica. Il problema è che pur promettendo molto mischiando thriller psicologico, noir e melò, il potenziale narrativo del film resta in sostanza inespresso.

La tensione, col senno di poi, si scopre essere costruita a colpi di ammiccamenti e stereotipi; il dramma realistico vira in intrigo hitchcockiano e poi in deriva noir/pulp, creando un miscuglio che sfocia in un finale frettoloso. L’insieme si dimentica presto e, all’uscita dal cinema, resta solo la sensazione di essere stati traditi: troppa l’audacia millantata in itinere e poi evaporata in un lampo.

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