"La sala professori", il social-thriller tedesco candidato all'Oscar

Un microcosmo scolastico diventa inquietante metafora di una società in cui ogni azione, anche ben intenzionata, può dar vita a un cortocircuito umano pericoloso e irreversibile

"La sala professori", il social-thriller tedesco candidato all'Oscar
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La sala professori, candidato tedesco all'Oscar 2024 nella categoria miglior film internazionale, è firmato da Ilker Çatak, quarantenne berlinese di origini turche.

Pur essendo un’opera minore rispetto alle altre della cinquina che si giocheranno il premio il prossimo 10 Marzo, è stato indicato da alcuni come l’outsider in grado di spuntarla. Se così fosse sarebbe un delitto: “La sala professori” non ha la statura di vincere un Oscar. Ciò detto, è senza dubbio un film molto interessante, che resta addosso perché parla di come il materiale umano sia qualcosa da maneggiare con immensa cura ed evidenzia quanto la scuola sia lo spaccato che meglio riflette la società.

Carla Nowak (Leonie Benesch) è una giovane e promettente insegnante al primo incarico. Insegna da un semestre matematica ed educazione fisica a una classe di alunni di seconda media in una città non identificata in Germania. Tutto sembra andare bene, finché non si verificano una serie di piccoli furti all'interno della scuola. Per sviare i sospetti da uno studente che le sta a cuore, Carla decide di indagare personalmente e prepara una specie di trappola: lascia nella sala professori il suo computer portatile con la telecamera accesa e registra il braccio di qualcuno che ruba da un portafoglio. La camicia della persona che commette l’illecito è inequivocabilmente quella indossata da una delle segretarie della scuola, la signora Kuhn (Eva Löbau). La donna, che è anche madre di uno studente di Carla, diventata la sospettata numero uno e viene rimossa dal proprio incarico. È l'inizio della fine. Mettere in pratica senso di giustizia e logica pedagogica finisce con il rendere Carla isolata, messa sotto pressione da tutti: studenti, genitori e dirigenza.

Il regista fa un ottimo lavoro nel creare tensione palpabile e crescente, mettendo in scena le varie angolazioni delle circostanze così come i punti di vista dei diversi personaggi. Girato in un ansiogeno formato 4:3, “La sala professori” intrappola lo spettatore in una narrazione avvincente che va a toccare temi come il bullismo, la privacy e soprattutto la valutazione dei danni collaterali delle proprie decisioni.

Il film rivela un’evidenza a dir poco inquietante: fare la cosa giusta può avere un prezzo altissimo. L’amara verità è che essere animati da buone intenzioni può avere risvolti crudeli e imprevedibili perché i fattori in gioco sono moltissimi. Tra regole ferree ed ipocrite, razzismo strisciante, rispettabilità di facciata da mantenere e un concetto di verità facilmente alterabile, si rischia la paralisi dell’azione.

Concetti come educazione, verità e giustizia oggi possono essere destabilizzati in un lampo.

Al contempo intenso, delicato e teso, “La sala professori” è

un film cui si continua a pensare anche a visione ultimata, perché mette in scena in un microcosmo i guasti universali che minano il nostro vivere sociale; pone problemi importanti ma non regala soluzioni a buon mercato.

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