Venezia80: “Comandante” di De Angelis, essere italiani è essere umani

Il film d’apertura della Mostra del cinema non è un semplice war-movie ma l’indagine delle motivazioni e dei valori profondi di chi ha fatto del sacrificio la propria vocazione di vita

Venezia80: “Comandante” di De Angelis, essere italiani è essere umani

Prima uomo di mare, poi patriota, infine marito e padre. Questo si può dire del protagonista di “Comandante” di Edoardo De Angelis, film d’apertura della 80. Mostra internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia.

Il personaggio interpretato da Pierfrancesco Favino pronuncia una frase, a un certo punto, che sembra la dichiarazione d’intenti di chi ha concepito il film: “Secondo te ci danno un sommergibile atlantico per fare una gita in Laguna?”. No, di sicuro i 15 milioni di budget sono stati spesi per proiettare il film oltreoceano perché davvero “Comandante”, con la sua truppa tecnica e artistica, può arrivare ovunque visti i suoi punti forti evidenti: i contenuti universali veicolati dal racconto, la prestazione inappuntabile del grande attore che è Favino e una scrittura florida e fluente che non lascia niente al caso, dal pensiero più filosofeggiante alla battuta greve in dialetto stretto.

“In mare siamo tutti alla stessa distanza da Dio. La distanza di un braccio, quello che ti salva”. Con queste parole in sovraimpressione sullo schermo inizia il bellissimo ritratto di un italiano esemplare, il Comandante Salvatore Todaro. L’uomo prese una decisione destinata a fare la storia, ma il film ci arriva per gradi e con sapienza, in modo da accorciare le distanze tra lo spettatore medio e un così fulgido esempio di eroismo come quello di salvare la vita al nemico in guerra.

Andiamo con ordine. Inizio della Seconda guerra mondiale. Ottobre 1940. Salvatore Todaro (Favino), comandante del sommergibile Cappellini della Regia Marina, potrebbe avere un pensionamento sereno, da invalido di guerra, in cui condividere il quotidiano con la bellissima moglie, oppure tornare a navigare nell’Oceano Atlantico. Nessuna esitazione nel seguire il destino per cui si sente nato, quello del combattente. Anche se per essere più protetto nella propria caparbia decisione, affida se stesso a una sedicente divinazione, in cui il suo agire è avallato dal volere di un imprecisato Spirito greco.

La prima ora di “Comandante” serve a rendere appieno il background dei protagonisti e soprattutto quali inamovibili motivazioni abbiano fatto scegliere loro di trovarsi nel profondo del mare, pur con la certezza quasi matematica di non fare ritorno a casa.

Todaro è al contempo un esempio, una guida, un mago e un semi-Dio per i suoi marinai. Costituisce il punto di riferimento fisico e morale di chi si trova laggiù sottacqua, in una trincea che non è tracciabile, con un nemico invisibile e la paura con cui convivere.

Col sangue che ribolle e i nervi tesi, questi sono molto più che individui in un pesce di ferro che prima o poi sarà una bara (come li vedono le loro donne dalla terra ferma). Il film ce li racconta come fossero della stessa pasta, tutti quanti, anche se la loro versione più fulgida e in purezza resta il loro comandante.

Il pericolo può essere il ferro nemico, ma anche il mare stesso (a causa di imprevedibili correnti), eppure questi giovani “pronti e inermi” sono degli alchimisti che sanno trasformare la debolezza in forza.

“L’arte del marinaio è morire in mare”, “la vittoria è la battaglia”, questi alcuni dei motti in cui si riscoprono uniti, anche se sono un crogiuolo di dialetti e temperamenti diversi. De Angelis è eccezionale nel mostrare il tessuto italico, in cui troviamo tutto e il contrario di tutto, dal cattolico integralista al campione di sberleffo, allora come oggi. Un “bordello meraviglioso e putrido”, come definisce l’Italia unita il protagonista; ma sotto la superficie, e questo è un film che di profondità ne frequenta su tanti livelli, ad andare in scena sono uomini che hanno il coraggio di brandire la propria umanità come bandiera superiore a tutte le altre.

Assomigliare alla propria essenza per le brave persone può voler dire anche “fai il bene e scordatelo”, così come “dare la punizione dei padri, gli schiaffi” piuttosto che vendicarsi in maniera delittuosa.

Una bolla di pace creata dalla volontà. Questo è rappresentato in “Comandante”, un’opera che al di là delle motivazioni più personali per cui può essere nata (la sceneggiatura è firmata dal regista a quattro mani con Sandro Veronesi), si erge molto al di sopra delle questioni politiche. Il film traccia bene l’unico vero discrimine di cui dovrebbe importare: quello tra umani e disumani. Lo schieramento di appartenenza sul piano dei giochi di potere lascia il tempo che trova a confronto.

Bisogna essere abbastanza centrati da poter infrangere le regole dello scacchiere politico per seguire un credo superiore, quello in un eroismo pulito perché etico. E pazienza se come nella storiella della rana e dello scorpione quest’ultimo seguirà la sua natura.

“Comandante” commuove e sa anche far sorridere, come quando ci mostra che oltre la barbarie guerrafondaia, ci aspetta il convivio, laddove esistono linguaggi e piaceri universali come cibo e musica in grado di strappare momenti di festa anche all’inferno.

Il film balena un’uguaglianza tipo quella che si respira nel terzo tempo del rugby, il che lascia la triste percezione che sia impossibile elevare il gioco della guerra a qualcosa che sia più di uno sport a chi non muore. Giusto così, non basta un film a diramare la natura più bassa e quella più alta che convivono nell’indole dell’uomo, anche se è un’opera capace di mostrare come sacro e profano si rincorrano continuamente.

Non si tratta solo di legge del mare, la quale impone di mettere in salvo chiunque si trovi in acqua in difficoltà, il comandante Todaro decide di ignorare la logica brutale dei protocolli militari e di soccorrere 26 naufraghi nemici, perché “siamo italiani”, intendendo che siamo campioni di umanità per nascita.

Quello di De Angelis è quindi un film prezioso oltre che affascinante e riuscito, perché non si piega a essere strumentalizzato

in questioni come gli sbarchi e la guerra nata in seno all’Europa. Racconta semmai quale spirito di sacrificio scorra nelle vene di una stirpe italica, così disomogenea e singolare, ma che si distingue per senso d’umanità.

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