Il "cinese" Bertolt Brecht contro l'ipocrisia (e il leccapiedismo) del realismo socialista

Ambientato nel Paese asiatico, "Il romanzo dei Tui" satireggia gli intellettuali organici. E l'ottusità del potere

Il "cinese" Bertolt Brecht contro l'ipocrisia (e il leccapiedismo) del realismo socialista

«Veramente, vivo in tempi bui!/ La parola disinvolta è folle. Una fronte liscia/ indica insensibilità. Colui che ride/ probabilmente non ha ancora ricevuto/ La terribile notizia./ Che tempi sono questi in cui/ un discorso sugli alberi è quasi un reato/ perché comprende il tacere su così tanti crimini!». Così scriveva in A quelli nati dopo di noi Bertolt Brecht, il grande autore tedesco che per decenni è stato considerato il massimo drammaturgo del Novecento, mentre ora si tende a preferire la sua opera lirica, struggente, nostalgica e ironica, nonché i suoi interventi saggistici e soprattutto le sue prose, dalle Storie del calendario alle Storie del Signor Keuner e al Me-ti. Libro delle svolte, cui ora si può aggiungere un intrigante frammento, Il romanzo dei Tui, a cura di Marco Federici Solari (L'Orma, pagg. 249, euro 18).

Si tratta di un'altra prova cinese, come Me-Ti e L'anima buona di Sezuan, nonché Turandot ovvero Il congresso degli imbiancatori. La Cina è, per Brecht, la patria della sua anima ironica, che gli consente spericolate incursioni in imprevedibili esperimenti intellettuali, estetici e linguistici, perché per Brecht il travestimento cinese rappresentava uno spazio di libertà e di ricerca, che interrompeva, raggirandola, la ferrea poetica del realismo socialista, immergendosi in un'atmosfera da favola, da paradigma, da modello utopico, autentica merce di contrabbando nel grigiume dell'estetica comunista e staliniana degli anni Trenta, cui risalgono la maggior parte dei segmenti che compongono il puzzle del Romanzo dei Tui.

Chi sono questi Tui? Sono gli intellettuali molto organici al potere. Nel romanzo ci sono escursioni nelle pieghe dell'ipocrisia dell'intellettuale che denotano l'intramontabile genialità dello scrittore di Augusta. A qualche lettore italiano potrebbe, perfino, venire in mente il migliore Crozza. Oppure più pertinentemente le illustrazioni sacrileghe, grottesche e amarissime di Otto Dix e Georg Grosz. Siamo nella medesima temperie culturale, quella della Repubblica di Weimar. E proprio sui lavori preparatori alla stesura della meravigliosa Costituzione di Weimar (che permise a Hitler e al suo partito di andare legalmente al potere) Brecht usa tinte sarcastiche, attingendo la maestria della parodia, abilissimo nella caricatura degli sforzi del grande costituzionalista Hugo Preuß, che appare nel romanzo come il saggio cimese (ossia cinese, ovvero tedesco) Sa-u-pröh, che attraverso mille esilaranti traversie riesce a consegnare al presidente della Cima (leggi: Cina, ossia Germania) il testo della costituzione, pure questa la più bella del mondo (conosciamo la storia).

Tuttavia l'immane fatica del giurista cimese (ovvero berlinese) non viene riconosciuta, ma scartata e solo in estremo viene fortunosamente ripescata: «Quando fu convocata l'assemblea nazionale, come Wei-Wei aveva previsto, la costituzione ancora non c'era. Lo schizzo di Sa-u-pröh venne cestinato dai consiglieri del ministero degli Interni. Uno dopo l'altro, e alla fine persino contemporaneamente, diversi tui vennero incaricati di redigere una nuova bozza. Wei-Wei lesse tutti quei progetti e li trovò talmente simili alla versione di Sa-u-pröh che si fece portare i cestini del ministero e riuscì a recuperarla con l'aiuto della moglie».

In Cima non poteva mancare l'ars amandi, centellinata nella saggezza orientale. Infatti il romanzo del sapiente tui Lo-reh (D.H. Lawrence), assai giustamente, «sollevava la questione se non si potesse ripristinare la capacità di soddisfare il genere femminile mediante la completa e assoluta astinenza da ogni lettura». Ma il vertice dell'ironia è nella descrizione dell'Arte del leccapiedi, un autentico e insostituibile vademecum dell'ipocrisia nell'approssimazione ai potenti: «L'arte del leccapiedi richiede studio e allenamento. E molta disciplina. Solo con l'esercizio è possibile elevarsi dalle bassezze della leccata corriva, e soltanto quando la perseveranza lascia il posto alla fantasia si diviene veri maestri. Il lecchinaggio praticato come un'arte produce espressioni originali, peculiari, profondamente sentite: crea una forma. L'artista completo è duttile, poliedrico, sempre capace di apprendere».

Insomma questo straordinario torso di romanzo è la conferma della verve satirica di Brecht più che mai viva e attuale. Certo i riferimenti sono quelli della cultura e della storia politica della Germania del primo Novecento. E l'ampia e bella introduzione del curatore aiuta a comprendere i brani meno perspicui. Questo frammento di romanzo conferma, inoltre, il problematico rapporto di Brecht con la struttura narrativa. Il nucleo profondo che ispira il racconto è una immensa, lacerante amarezza. Il sorriso che talvolta affiora alla lettura si mescola sempre con la percezione della disperazione che sta dietro al testo.

La disperazione di vivere in un'epoca di brutali atrocità, in un'età in cui la pietà l'è morta e al dolore si aggiunge la sofferenza per l'impossibilità di essere indulgenti, gentili, umani poiché il tempo non lo ammette: «Ah, noi/ che volevamo preparare il terreno per la gentilezza/ noi non potevamo essere gentili./ Ma voi, quando sarà venuto il momento/ in cui l'uomo sarà amico dell'uomo/ ricordate noi/ Con indulgenza».

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