Non escono mai, solo per motivi di salute o per assistere i genitori quando stanno male. Parlano fra loro durante la ricreazione, meno di un paio d’ore al giorno. Chi vuole vederle deve accontentarsi dello spazio attraverso le grate, sia che si chieda un’intervista, sia che le si ascolti cantare o recitare lodi in chiesa. Eppure non vivono chiuse nel loro orticello (anche se ne coltivano uno e dividono la frutta con gli uccelli di Milano «che devono avere piuttosto fame») e il Medioevo è lontano anni luce. La vita di clausura è una scelta anche nel 2010. E la tecnologia risponde come non mai alle esigenze di chi «si concentra sull’essenziale»: la spesa si fa via internet, i messaggi arrivano con la posta elettronica o sulla segreteria telefonica, le telecamere controllano ingresso e cortile quando il custode è in libera uscita. Nessuna suora ricama più tovaglie o lenzuola, in compenso per guadagnare qualcosa si cimentano in traduzioni o articoli.
Sono cinque i conventi che resistono nel cuore della città: le Carmelitane Scalze in via Marco Antonio Colonna 30, le Agostiniane di via Ponzio 46, le Visitandine di via Santa Sofia 1, le Clarisse di piazza Piccoli Martiri 3 e le Benedettine dell’Adorazione perpetua del Santissimo Sacramento di via Bellotti 10. Abbiamo visitato Carmelitane e Benedettine che hanno un modo quasi opposto di intendere la clausura: isolamento ed eremitaggio per le prime, apertura e radicamento nel quartiere per le seconde. In comune hanno l’idea che «la propria vocazione abbia senso per gli altri». Per questo pregano sempre e scartano tutto ciò che le distoglie da questo. «La gente ha un grande bisogno di pregare - è convinta madre Geltrude, priora della Benedettine - anche nelle giornate più torride i fedeli sono sempre venuti in chiesa a seguire i Vespri». Le benedettine «consacrano» anche i laici. Ci sono 47 persone («oblati») che abitano nei dintorni di viale Piave - medici, insegnanti, fattorini, avvocati, camerieri, sposati o single - che frequentano il monastero e hanno fatto il voto di obbedienza alla regola di San Benedetto, «cercano per quanto è possibile di trasferirla nella loro vita di laici - spiega madre Geltrude - In questo modo ci si lega alla comunità, non all’ordine, si fa parte tutti di una grande famiglia». Così capita che qualche vicino di casa, porti il gelato alle suore. E che le sorelle inferme vengano accudite dalle giovani, «come in famiglia». Il monastero delle Carmelitane è un’oasi di pace alle spalle della fiera, «pregare significa coltivare l’amicizia con il Signore, è questo il senso della vita - spiega madre Emanuela dell’ordine devoto a Santa Teresa d’Avila - cerchiamo di trovarci a tu per tu con Dio e nel cuore custodiamo le richieste della gente; ci chiamano, ci scrivono, ci ringraziano. In 63 anni di vita in convento non ho mai visto un litigio. Eppure non ci scegliamo, le aspiranti novizie capitano qui da ogni angolo d’Italia e del mondo, l’organista è tedesca.
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