Cogne, la vera Franzoni non è quella della tv

L'hanno giudicata antipatica, perché tutti credono di conoscerla. Invece conoscono il suo doppio: l'Anna Maria di fronte alle telecamere. Il caso mediatico intorno al processo di Cogne ha dato un'immagine distorta della protagonista. Guarda il videoeditoriale di Maurizio Belpietro. Partecipa al sondaggio: colpevole o innocente?

Cogne, la vera Franzoni  
non è quella della tv

Cara Anna Maria, forse hai ragione: sei andata troppo in Tv. E che adesso te lo dica io, uno di quelli che fin dall'inizio, a più riprese, ha contribuito a mandarti troppo in Tv, ti sembrerà strano, e probabilmente ti farà crescere dentro ancor di più il rancore che tu provi nei confronti dei giornalisti. Ma lascia stare, per una volta, i giornalisti, che fanno il loro mestiere, bene o male, come tutti, spesso persino in modo onesto. Lascia stare: se alla fine di un processo, dopo cinque anni di indagini, un sostituto procuratore non sa far altro che accusare il «circo mediatico», dopo averne assorbito tutti i vizi nella sua requisitoria, la colpa non è delle fin troppo citate debolezze dei giornalisti. Piuttosto, la colpa è delle debolezze di chi ti accusa.
Adesso dicono che hai ucciso in preda a una «nevrosi isterica». Ci mancava la «nevrosi isterica», dopo il «crepuscolo della coscienza», lo stato d'ansia, l'atteggiamento da Bimba e tutte le altre definizioni con cui si divertono a bollarti, in mancanza di prove certe. Che vuol dire nevrosi isterica? Che avevi il nervoso? E quale mamma con due bimbi piccoli non ha un po' di nervoso? Rivado con la mente alla mia infanzia: se ogni crisi isterica può scatenare la furia omicida, io e mio fratello abbiamo rischiato la vita ogni volta che rientravamo in casa dopo la classica partita a calcio in cortile, ginocchia sbucciate e fango sui pantaloni. Possiamo dirci dei sopravvissuti.
Eppure, cara Anna Maria, lo vedi l'effetto della Tv? Non sono i Crepet, i salotti, i processi mediatici. Balle: l'effetto della Tv è che tutti ormai pensano di conoscerti e pensano perciò di poterti giudicare, credono di avere abbastanza elementi su di te per poter dire colpevole o innocente non in base alla prove, ma in base all'impressione che tu hai suscitato, alla maggiore o minore simpatia, al fatto se le lacrime siano vere o no. E questo ti frega, Anna Maria. Ti frega perché, lasciatelo dire da una persona che ti ha mandato in onda migliaia di volte e poi ti ha conosciuto di persona, tu sei molto diversa da quella della Tv. E quando dici «non mi hanno creduto», dici una verità. Ma pensa a quant'era difficile credere a quella tua controfigura che popolava i talk show.
Ci ripensavo pochi minuti dopo che è arrivata la notizia della tua condanna. Provavo a immaginare la tua disperazione e ti rivedevo lì, nel tinello spartano della casa di Monteacuto, dove abbiamo chiacchierato per ore una sera d'ottobre. Ripensavo a quella situazione tutta domestica, a Stefano che sedeva granitico come sempre al tuo fianco, a nonno Mario buono e limpido, e ai tuoi due bimbi, Gioele e Davide che scorrazzavano per casa, su e giù dentro quei rimasugli di felicità, facendo saltare le assi di legno e il filo dei discorsi. «Tutto bene?». «Sì, mamma». «Dov'eravamo rimasti?».
Ripensavo che era tutto così normale in quella casa d'altri e spoglia. Attorno al tavolaccio di legno risentivo gli stessi ricordi, le stesse ricostruzioni, lo stesso dolore visti mille volte sul teleschermo: ma era come se fosse tutto nuovo, vero, genuino. Anche le lacrime. Quante volte ti ho sentito piangere, Anna Maria, in Tv e quante volte ho avuto l'impressione come tutti che le tue fossero lacrime un po' fasulle, o forse di una con la nevrosi isterica. E invece, quella sera, in quella stanza, mi accorgevo che tu piangevi esattamente come piange una mamma che ha perso un figlio. Non c'era nulla di innaturale o di forzato in quelle lacrime o nel ricordo di Samuele o del vostro paradiso di Cogne. Non c'era nulla di innaturale nel tono del racconto, nelle incrinature con cui la voce ti si strozzava in gola, nell'affetto con cui tuo marito ti stringeva la mano e ti sussurrava: «Ora basta, Anna Maria».
E ho capito allora che ci sono due Annamarie, una quella che ha conosciuto l'Italia in Tv e l'altra quella vera. E nella differenza fra queste due Annamarie sta buona parte del mistero insondabile di questo caso. Ancora poco fa, a casa di amici, mi sentivo chiedere con un po' di fastidio: ma come si fa a difendere una così? Perché la sua famiglia continua a starle accanto? Qualcuno ha scritto che la Franzoni è antipatica. Ma non è nemmeno vero: la Franzoni non è antipatica. È antipatico il suo clone tv, il sosia sedici pollici, il risultato catodico. È antipatico il personaggio non la persona. E, per quanto siamo strenui difensori della civiltà mediatica, ci rifiutiamo di pensare che persona e personaggio siano la medesima cosa.
Ci sono due Annamarie. Ho avuto la stessa sensazione pochi giorni fa quando ho risentito per intero una telefonata della Franzoni a un'amica, che risale a un mese circa dopo il delitto. Da questa intercettazione il procuratore generale ha estrapolato un piccolo lapsus per farne una prova d'accusa. Anna Maria dice: «Non so cosa mi è successo...», ma subito si corregge: «Non so cosa gli è successo». «Ecco la confessione», ha detto in aula il pubblico ministero. La confessione? Un lapsus? Basta ascoltare i 29 minuti di quella telefonata per trovarci niente meno che tutte le frasi normali di un colloquio del genere: le lacrime, i singhiozzi, gli imbarazzi, le banalità, le frasi interrotte. I lapsus. Se in cinque anni di indagini è questo quello che hanno raccolto come prova, andiamo bene: basta che registrino un po' di mie telefonate e mi danno l'ergastolo come mandante della strage dei Curiazi.
Rea confessa per via di un lapsus? Nevrotica isterica? Crepuscolo della coscienza? Lo vedi, cara Anna Maria, ti hanno appiccicato addosso migliaia di etichette, perché tutti pensano di conoscerti e invece non ti conoscono. Non ce l'hai fatta a farti conoscere. Sei andata in Tv e sei diventata un'altra persona. Hai sbagliato tu? Ha sbagliato chi ti ha consigliato? Hanno sbagliato i giornalisti? Hanno sbagliato le telecamere? Non lo so. Di certo, il risultato è questo: la gente ti assolve e ti condanna non in base alla dimostrazione di ciò che hai fatto, ma in base alla sensazione di ciò che sei. E la cosa più grave è che anche la giuria di Torino ha dato l'impressione di muoversi così. Non a caso ci sono giudici popolari che rilasciano interviste tormentate e piene di dubbi.
Io non lo so, Anna Maria, se tu sei colpevole, come dice la corte, o se sei innocente, come dici tu. Non lo so, non me ne sono fatto un'idea, se anche me la fossi fatta forse non la direi qui. Ma trovo pericoloso per tutti noi che una sentenza di condanna non si basi sulle prove, ma sulle sensazioni, non sui documenti ma sulle impressioni. La pubblica accusa doveva dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio la tua colpevolezza. Non c'è riuscita. Ha finito la requisitoria con quella patetica richiesta di confessione.

E a questo punto il tuo problema, cara Anna Maria, diventa il problema di tutti noi. Perché non si può accettare l'idea che in un Paese civile una condanna sia commisurata al numero delle più o meno riuscite apparizioni in Tv.
Mario Giordano

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