Il "Colpo di Zurigo", quando i migliori 007 erano italiani

Il 24 febbraio 1917, quattro agenti segreti penetrarono nel consolato viennese in Svizzera, forzarono la cassaforte e si impadronirono dell'elenco delle spie austriache nel nostro Paese

Il "Colpo di Zurigo", quando i migliori 007 erano italiani

Quattro uomini scivolano nella strade di Zurigo in festa per il Carnevale, entrano nel consolato austriaco, aprono le porte con chiavi false, forzano la cassaforte e infine fuggono con l'elenco delle operazioni in corso e i nomi di agenti segreti e sabotatori operanti in Italia. Non è la trama di un film di 007, bensì uno dei migliori colpi dei nostri servizi segreti, anzi «Il Colpo di Zurigo», messo a segno il 24 febbraio del 1917. Quanto all'efficacia dell'azione, gli alti gradi militari giudicheranno i suoi effetti «superiori a qualsiasi battaglia vinta» durante la Prima Guerra Mondiale.
Il colpo di mano viene deciso quando, dopo due anni di indagini, la Regia Marina scopre come non solo dietro una lunga serie di «incidenti» ci fosse la mano dei servizi segreti austriaci, non ci voleva molto, ma che la base delle operazioni in Italia è nel consolato viennese a Zurigo. In svizzera dunque si nasconde la mente dei sabotaggi iniziati il 27 settembre 1915 nel porto di Brindisi quando salta in aria la «Benedetto Brin», una delle migliori corazzate italiane affonda nel giro di pochi minuti, uccidendo 454 marinai. Un disastro replicato il 2 agosto 1916 quando le fiamme distruggono nel porto di Taranto un'altra corazzata, la Leonardo da Vinci, uccidendo 270 tra marinai e ufficiali. Quindi tutto un susseguirsi di «inspiegabili» disastri: l'incendio al porto di Genova, il piroscafo Etruria saltato in aria a Livorno, l'hangar dei dirigibili in fiamme ad Ancona. E ancora: la distruzione della fabbrica di esplosivi a Cengio nel savonese e del treno carico di munizioni a La Spezia e danneggiamento della centrale idroelettrica di Terni. Ma la fortuna alla fine volta le spalle agli austriaci e i carabinieri riescono ad arrestare un sabotatore mentre sta cercando di piazzare dell'esplosivo sotto la diga delle Marmore. È un italiano, ha tradito per denaro, come confermerà una secondo attentatore fermato in tempo presso le centrali elettriche del Chiamonte e del Sempione. I due forniscono anche il «preziario»: 300mila lire per distruggere un sommergibile, 500mila un incrociatore, un milione una corazzata, cifre enormi per l'epoca, equivalenti a svariati milioni di euro. Ma soprattutto indicano nel consolato austriaco a Zurigo la base operativa degli agenti segreti e nel diplomatico, il capitano di corvetta Rudolph Mayer, il loro capo.
Il governo affida al capitano di corvetta Pompeo Aloisi, 42 anni, il compito di distruggere la rete di spie. L'ufficiale mette sotto stretta sorveglianza l'edificio, matura il piano per penetrare nell'edificio e infine arruola una squadra di specialisti. Il primo l'avvocato livornese Livio Brin, rifugiato a Zurigo che offre appoggio logistico. Poi un agente segreto austriaco, il cui nome non sarà mai rivelato, che spiegherà dove trovare la cassaforte e fornirà i calchi per aprire le varie porte. Quindi uno specialista nel fare i doppioni, l'abilissimo fabbro Remigio Bronzin, un profugo triestino. Poi due ingegneri triestini, Salvatore Bonnes e Ugo Cappelletti, e il marinaio Stenos Tanzini, di Lodi, a cui vien affidato il compito di guidare il commando. Manca lo scassinatore, individuato in Natale Papini. Lo rintracciano in carcere a Livorno, dove era finito per avere svaligiato una banca di Viareggio. Gli fanno decidere tra recarsi a Zurigo e, in caso di successo del colpo, venire liberato e profumatamente ricompensato, oppure finire subito in prima linea. Scelta molto facile.
Aloisi decide di agire il 22 febbraio in pieno carnevale, la confusione può rendere più facile l'azione. Tanzini, Papini, Bronzin e Bini scivolano nelle strade piene di gente in festa, entrano nell'edificio, aprono 16 porte una dopo l'altra. Ma quando sembra fatta, ecco una diciassettesima, inattesa: l'agente doppiogiochista l'aveva sempre vista aperta e non pensava fosse necessario procurarsi un ulteriore ostacolo. La spia austriaca, si procura anche quel calco, Bronzin fabbrica la chiave a tempo di record e il 24 il gruppo è pronto per il nuovo tentativo. Questa volta non sembra esserci ostacoli, i due guardiani sono assenti, il cane di guardia addormentato con il cloroformio e le porte si aprono una dopo l'altra. Non resta che attaccare la cassaforte con la fiamma ossidrica, ma un ultimo imprevisto per poco non fa strage del commando: dal buco aperto nella parete d'acciaio esce un gas venefico. Una trappola di cui i «nostri» se ne accorgono in tempo, aprono le finestre e continuano a lavorare con stracci bagnati sulla bocca. Dopo quattro ore il forziere cede e rivela i suoi tesori: l'intera rete di spie e le operazioni in corso. Ma anche una grossa somma di denaro, 650 sterline d'oro e 875 mila franchi svizzeri, gioielli e una preziosa collezione di francobolli.
Con il bottino vengono riempite tre valigie che Tanzini e Papini portano in stazione mentre Bronzin si reca al consolato italiano ad avvisare Cappelletti e Bonnes che tutto è andato bene. Poi Bonnes e Bronzin raggiungono Tanzini e Papini alla stazione e partono insieme per Berna, dove consegnano il materiale ad Aloisi. In tempo di esaminare i documenti, poi in Italia polizia e carabinieri iniziano ad arrestare i sabotatori.

In beve l'intera rete di spie austriache viene smantellata, facendo prendere alla guerra una piega in favore dell'Italia. «Meglio di una vittoria in battaglia» sarà il commento degli altri gradi delle nostre Forze Armate.

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