Clamoroso a Los Angeles. Qualità dei film batte politically correct 6-0, 6-0. Altro che Sinner. La vera notizia della notte degli Oscar non è la vittoria annunciata di Oppenheimer, trionfatore (meritato) di ben sette statuette, ma la sconfitta di quel politicamente corretto che aveva condizionato, in maniera pesante, a volte anche ridicola, molte edizioni dei premi più ambiti in campo cinematografico. Stranamente, proprio nell'anno nel quale, per essere eleggibili, si doveva tener conto degli standard di inclusione e rappresentazione. Presto per dire se questo nuovo vento soffierà anche in futuro, ma intanto godiamoci una delle edizioni più meritocratiche di sempre. Ha vinto chi lo meritava, indipendentemente dalla sua carta di identità. Per dire, come sceneggiatura non originale ha ricevuto l'Oscar, inaspettatamente, American Fiction (recuperatelo su Prime Video), battendo nella categoria, in una delle sue rare sconfitte di domenica, proprio Oppenheimer. Il film prende in giro gli stereotipi con i quali viene descritta, nelle pellicole e nei libri, la comunità nera, dall'ipocrisia liberale bianca. Facendo a pezzi la cancel culture, ma anche la stessa Academy e il suo favorire titoli costruiti a tavolino con il Manuale Cencelli dell'inclusione. Non questa volta, però. Così come fa, in un certo senso, clamore la sconfitta, inaspettata, come Miglior attrice, della pur brava Lily Gladstone, prima nativa americana ad avere una nomination, a favore della superba Emma Stone di Povere creature! (l'altro film ad uscire bene dalla serata). Soprattutto, dopo l'immeritato premio dato, lo scorso anno, all'orientale Michelle Yeoh. Stone che (altro che Margot Robbie) è la vera «Barbie», nel senso che il suo personaggio di Bella Baxter incarna, in maniera molto più complessa ed incisiva, il tema dell'emancipazione femminile, rispetto a quella operazione di marketing che è stato Barbie, spacciato per nuovo manifesto femminista. Oppenheimer ha fatto man bassa dei premi più importanti (Film, Regia di Nolan, Miglior attore protagonista a Murphy e non protagonista a Downey Jr.), facendosi sfuggire solo quello per l'attrice non protagonista (chissà come ha rosicato Emily Blunt), assegnato, invece, a Da'Vine Joy Randolph per The Holdovers - Lezioni di vita. Il motivo del trionfo sull'inventore dell'atomica? All'America piace interrogarsi sulle proprie contraddizioni del passato, per capire meglio il presente, facendosi illuminare, in questo caso, da quelle di Oppenheimer, il cui sguardo morale, nel film, può aiutarla ad interpretare al meglio il suo ruolo attuale nel Mondo.
Infine, complimenti a Garrone che poco poteva contro La zona di interesse e a Hayao Miyazaki per aver sconfitto, con il suo poetico film d'animazione, Il ragazzo e l'airone, i cartoni senza anima. Sì, è stata proprio un'edizione meritocratica.
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