Il commento Una bella vignetta è meglio di un editoriale Ma oggi la satira è solo commedia

Potete leggere in questa stessa pagina che tra le molte iniziative celebranti il centenario della nascita di Guareschi - e il quarantennale della morte - ci sarà a Brescia la mostra «Ridere della dittatura»: con vignette di Giovannino e d’altri. Poiché in contemporanea sono usciti un libro di Giorgio Forattini (Revoluscon, Mondadori) e uno di Emilio Giannelli (Il mago Merlino, Marsilio), vale la pena di fare qualche riflessione sull’importanza della satira disegnata nel giornalismo, nella politica, nella cultura.
Una vignetta azzeccata vale più d’un buon racconto umoristico o d’un buon editoriale (salvo il caso che l’editoriale abbia la risonanza del J’accuse! di Zola per l’affaire Dreyfus). La vignetta non richiede attenzione, non richiede uno sforzo di comprensione, è immediata e tagliente. Può essere la caricatura d’un tipo umano o può essere un fendente polemico. Alla prima categoria appartennero «il gagà che aveva detto agli amici» di Attalo, sul Marc’Aurelio, o il barone con tuba, barba e redingote di Giovanni Mosca che si rivolgeva a una dama impettita in sella. «Contessa, io sono lieto di farvi da staffa con le mani quando salite a cavallo, ma porca miseria guardate dove mettete i piedi quando camminate». Alla seconda categoria appartiene quasi per intero la produzione guareschiana. Non c’è un suo disegno, credo, che non voglia colpire personaggi da lui detestati o un malcostume che aborriva. C’era furore e moralismo, nelle vignette di Guareschi, ed è risaputo da tutti gli storici quanta importanza esse abbiano avuto nella drammatica campagna che precedette le elezioni del 18 aprile 1948.
Guareschi andò in carcere volontariamente, rifiutando di presentare appello contro una sentenza di condanna per l’accusa mossa a De Gasperi d’aver chiesto agli angloamericani il bombardamento di Roma. Poiché risultava recidivo, essendo stato riconosciuto colpevole d’aver diffamato il presidente della Repubblica Luigi Einaudi con una vignetta sul Barolo da lui prodotto, alla condanna non appellata era seguito l’arresto.
Ora i tempi, nonostante il tornado finanziario, sono di gran lunga meno calamitosi. Non viviamo - Ahmadinejad permettendo - sotto l’incubo dell’Apocalisse nucleare, e l’eventualità che i cavalli dei cosacchi si abbeverino alle fontane di piazza San Pietro appare remotissima. I cupi baffoni di Stalin erano un leitmotiv del vignettismo guareschiano. Con Forattini e Giannelli lo scenario è profondamente cambiato. Scomparso il Craxi dagli stivali duceschi e Fanfani «er nano», protagonista è oggi Silvio Berlusconi. Sia da Forattini, sia da Giannelli raffigurato, in copertina, con la dentatura generosamente esibita e l’occhio furbo.

Ma Forattini presenta un Berlusconi a cavallo, con cappello e mantello napoleonici. Giannelli lo vuole invece in veste d’incantatore, capace di passare «da Air France ad aria fritta». Se la satira insiste su queste corde, possiamo stare abbastanza tranquilli. È commedia, non tragedia.

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