Commento/2 Per evitare gli scippi gli eventi vanno difesi

Impietosa ma - ahinoi! - realistica l'analisi di Lodovico Festa sulle responsabilità milanesi delle perdite di eccellenze, eventi e manifestazioni che la città ha subito e rischia di subire.
Abbiamo denunciato gli «scippi romani» ma, dobbiamo ammetterlo, non solo di questo si tratta. Spesso si subisce uno scippo perché non si ha abbastanza cura della borsa. Da molto tempo, fin dagli ultimi anni delle celebrate giunte di sinistra, Milano, con la sua classe dirigente, si comporta come chi dà per scontato il possesso di certi gioielli, quindi non bisognosi di tutele e valorizzazioni.
Tristemente memorabile l'indifferenza con cui la «capitale dell'editoria» lasciò nascere e crescere a Torino il Salone del libro. Fra gli esempi citati da Festa, il Mifed, mercato internazionale del cinema e del multimediale, fino a pochi anni fa uno dei più importanti al mondo. Quella manifestazione andava sostenuta, sviluppata ed enfatizzata dalla città, con una corona di eventi collaterali, qualcosa di analogo a ciò che, finalmente, si fa per il Salone del mobile.
Trattando, insomma, il Mifed come una grande vetrina internaziale in un settore di forte valenza mediatica, creando l'alternativa commerciale e industriale ai festival di Venezia e Roma. Indifferenza e supponenza, invece, lo hanno lasciato morire.
Qualcosa del genere è accaduto per il Giro d'Italia. A parte le laute profferte altrui e la cinica feddezza degli organizzatori verso la città culla della corsa, da anni Rcs Eventi chiedeva a Milano di valorizzarne la presenza: non è solo questione di soldi ma soprattutto di idee, di impegno, di volontà di far fare bella figura alla città, di non dare mai nulla per scontato. L'amministrazione deve convincersi dell'importanza di investire in una politica di difesa e valorizzazione delle eccellenze e delle qualità che costituiscono un patrimonio e che «provvisoriamente» hanno sede a Milano.
Per la moda finalmente qualcosa si fa, ma non abbastanza per contrastare la minaccia romana, con la sua immaginabile potenza di fuoco. Inoltre la città, con la sua classe dirigente, deve liberarsi da complessi e inibizioni, deporre quel patetico fair play che le impedisce di lanciare sfide ad altri che invece non hanno alcuna remora a lanciarne a noi. Perché, ad esempio, non progettare una fiera internazionale dell'editoria e della comunicazione, nonostante Torino? Perché non tentare di portare il «Sei Nazioni» di rugby dallo stadio Flaminio di Roma all'Arena Civica o addirittura a San Siro?
E ancora: altre città, con le loro Film Commission attirano produzioni cinematografiche con incentivi e agevolazioni; sembra che a Milano invece la cosa sia molto più difficile. Un episodio significativo: quest'anno Torino ha ospitato il Prix Italia, prestigioso premio internazionale della televisione promosso dalla Rai.

Era previsto che migrasse di anno in anno da una città all'altra ma, dopo il successo di pubblico e di immagine, la presidente del Piemonte Bresso ha bruciato tutti e ha convinto gli organizzatori, con offerte concrete, a fermarsi a Torino almeno altri due anni. E così che si fa, con spirito competitivo e aggressività. Perché Milano non ci riesce?

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