Il computer di Visco chiude l’emporio storico

La sera del 31 Carlo e Liliana abbasseranno per l’ultima volta la saracinesca

Il computer di Visco chiude l’emporio storico

(...) In tutto il territorio del comune di Isola, quello di Montessoro è (era?) l'unico esercizio commerciale ancora attivo al di fuori del capoluogo, che da qui dista sei chilometri di strada stretta e tutta tornanti: splendido panorama d'estate, roba ai limiti del rally d'inverno, tra neve e gelo. Facile intuire, quindi, che l'esistenza della bottega di Montessoro finora ha risparmiato a una discreta fetta di popolazione gli scomodi chilometri da percorrere per procacciarsi il pane e companatico quotidiano. Fino, appunto, a tutto il duemilasei. Perché il signor Carlo «Ninni» Sangiacomo e la signora Liliana hanno fatto due conti e col cuore stretto hanno deciso che il 31 dicembre prossimo abbasseranno la saracinesca per l'ultima volta.
L'età, certo, e la stanchezza dopo una vita passata dietro un banco praticamente a tutte le ore del giorno si fanno sentire. Ma forse un paio di anni in più si poteva andare avanti. Ci voleva il colpo di grazia, ed eccolo arrivare, in forma di decreto: quello firmato da Vincenzo Visco e Pier Luigi Bersani, che prossimamente (l'entrata in vigore della norma, che doveva avvenire con l'anno nuovo, ha subìto un rinvio) imporrà ai negozianti di comunicare regolarmente il proprio rendiconto all'agenzia delle Entrate tramite un computer collegato in rete. In un futuro tutt'altro che remoto, insomma, il commerciante tutte le sere dovrà connettersi e trasmettere i dati relativi all'incasso del giorno. Un'operazione assai banale per chi mastica un minimo di informatica, un po' meno per gente che, in un quotidiano alzare e abbassare la serranda, nei viaggi all'alba al mercato per rifornire il negozio di frutta, o dal fornaio per il pane e la focaccia, nemmeno ha avuto il tempo di capire come si punta il mouse.
«Io e mio marito che a settant'anni impariamo a usare il computer? E chi ce lo fa fare?», allarga le braccia Liliana. «Mi ricordo - prosegue la negoziante con indosso il grembiule d'ordinanza - che vent'anni fa, quando diventò obbligatoria la bilancia alimentare elettronica, mia suocera entrò in crisi, abituata com'era a maneggiare i pesi e i piatti. Ma io e Ninni eravamo più giovani», e comunque un conto è premere due o tre pulsanti, un conto è iniziare per forza da zero a imparare a usare uno strumento che è mille miglia lontano dalla mentalità di due signori che per decenni hanno vissuto solo per la loro bottega, quarta e ultima generazione di una dinastia che ha iniziato l'attività commerciale qualcosa come centocinquant'anni fa. E allora passi aprire un conto corrente dedicato esclusivamente all'attività del negozio, altro grandefratellesco precetto del Ministero, ma reinventarsi informatici dopo essere stati contemporaneamente salumieri, fruttivendoli, tabaccai e molto altro, per carità no.
Strana, la vita. Da una parte si incoraggia la gente a lasciare la città per la campagna, si sovvenzionano gli agriturismi, si rivaluta il passato e si cerca di conservarne le tracce; dall'altra, nessuna legge pare riconoscere - o almeno evitare di ostacolare - il valore di un servizio che ha reso indubbiamente meno disagiata la vita di chi sta sui monti. «Fino a qualche anno fa - racconta il signor Ninni - andavo a consegnare provviste nei paesini del circondario. Mi facevo dire cosa serviva e partivo». Anche i giornali, previa «ordinazione» a voce, si potevano trovare tutte le mattine nel retrobottega, provenienti dall'edicola del capoluogo gestita dalla figlia della coppia.
Addirittura all'ingresso fa bella mostra di sé una cabina telefonica. Roba di una volta, con la porta a soffietto. Ora è poco più che un cimelio, anche se la Telecom ha da poco sostituito il vecchio apparecchio a disco con un altro più moderno, ma in epoca pre-cellulari era davvero un servizio essenziale. Si parla di pochi anni fa, ma sembra preistoria. E ora quella cabina è già archeologia moderna.
Un negozio d'altri tempi: tante cose diverse in pochi metri quadri. Un lusso, forse, troppo grosso per le ventotto anime, una più una meno, di Montessoro. Che adesso si sentono perdute. Perché era anche la presenza del negozio a dare al paese un pochino più di lustro, di vita, rispetto alle altre località.

«Qui ci conosciamo tutti, è un po' come una famiglia - spiega Liliana - la mattina durante la spesa si chiacchiera, ci si tiene aggiornati, e se qualcuno non viene a comprare per uno o due giorni ci preoccupiamo e andiamo a vedere come sta». Una specie di ombelico di un piccolo mondo destinato a sparire. Cosa resta da fare? Poco: prendere atto, e soprattutto scaldare il motore della macchina. Altrimenti, niente pane fresco.

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