Conflitto d’interessi

I capi dell'Unione dicono e ripetono agli italiani di voler girare pagina. Ne propongono altre 274, tante ce ne sono volute per definire un programma, con «il rischio che non si capisca proprio nulla». Parole, queste, scelte da Massimo Giannini intervistando Francesco Rutelli (sulla Repubblica di ieri), il quale ha colto la più facile delle vie di fuga annunciando che «la sintesi è quasi pronta». Non ha cercato di definire un'idea dell'Italia o un progetto di governo. Si è limitato ad indicare le priorità a cui pensa e ha preferito sorvolare sul lungo e tormentato lavoro compiuto dall'officina di Prodi. È come dire che il programma non conta.
Non c'è da stupirsi, anche perché la genericità delle formulazioni - ieri Fausto Bertinotti ha annunciato unilateralmente che il nodo Irak è risolto - può aiutare l'esibizione di una concordia che non c'è. Ma non c'è da stupirsi soprattutto perché via via affiorano nella vasta area del centrosinistra insofferenze che potremmo definire preventive e che confermano tutti i sospetti sull'impossibilità dell'Unione di reggere il governo a cui aspira. Non penso solo al duello ormai quotidiano tra la «Rosa nel pugno» e Clemente Mastella sulle questioni etiche. Penso al fatto che per la prima volta dai due poli estremi dell'alleanza c'è stato uno scambio polemico senza mezzi termini. Se l'altro giorno Liberazione ha chiesto «come faremo a governare con questi?», ieri Europa ha risposto che c'è una sinistra che si assegna il compito «di contrasto al moderatismo» e che «continua ad escludere il governo della complessità dalle proprie prerogative». Non si tratta semplicemente di due giornali, si tratta piuttosto dell'espressione di voci profondamente conflittuali che esistono nell'elettorato, nello zoccolo militante, nelle stesse leadership.
Sono due visioni, due culture, due progetti diversi e, probabilmente, sono più di due. Fausto Bertinotti, che al governo pensa davvero, esorcizza il problema, così come altri, a cominciare da Prodi, restano convinti che non si tratti di un vero ostacolo e che, se l'Unione vincerà le elezioni, tutto verrà automaticamente risolto con la parola magica del potere.
Ma è così? Il nodo dell'inconciliabilità delle sinistre italiane, l'antagonista e la moderata, è vecchio, ha percorso tutto il secolo scorso ed ha assunto via via forme diverse. C'è da chiedersi perché un'abile sintesi delle 274 pagine raccolte da Prodi dovrebbe all'improvviso risolverlo. Leggo sempre su Liberazione questa descrizione del «volto di Prodi»: un populismo leaderistico e «ademocratico», che forza la mano agli apparati di partito non già in nome di una democrazia più compiuta, ma in nome del proprio personale apparato. Quanto è diffusa questa opinione? E quanto peserà?
Al di là di questi scambi polemici, c'è comunque il problema di fondo: l'alleanza di centrosinistra si presenta oggi come un aggregato di interessi molto diversi, contraddistinti però tutti dal tratto del conservatorismo e dalla necessità di coesistere nel nome non di un'idea dell'Italia, ma della acquisizione del governo. Con due falle: da un lato una corrente moderata, ridotta quasi al silenzio, e dall'altro un universo antagonista che non si trattiene, che vuole pesare e soprattutto che non sopporta l'idea di governare.


Sarebbe un conflitto «interno», non lo è perché riguarda il futuro di un Paese e di una società. È possibile considerare credibile un programma, un progetto, un intento di governo che tengono insieme Carlo De Benedetti e Francesco Caruso, cioè un ossimoro?

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