Conservatore non è più una parolaccia

Giubilei spiega la specificità "latina" di chi vuole salvare la tradizione italiana

Conservatore non è più una parolaccia

La percezione negativa del conservatorismo in Italia affonda le sue radici in una storia complessa e contraddittoria. Sebbene sul piano teorico si manifesti come un mosaico culturale ricco e solido, in ambito politico risulta spesso fluido e disorganizzato, privo di un blocco coerente e definito. Questo fenomeno è il risultato di ritardi derivanti da dinamiche interne, legate a conflitti localistici secolari, che lo rendono meno strutturato e chiaro rispetto ai modelli anglosassoni, decisamente più compatti e ordinati.

Il filo conduttore che unisce le diverse espressioni del conservatorismo si radica nell'istinto di preservare la continuità delle comunità umane, fondate su tradizioni, territori e principi consolidati. Anziché opporsi al cambiamento, il conservatorismo ne indirizza l'evoluzione nel rispetto dei valori fondamentali. Da questa prospettiva scaturisce il rifiuto dei mutamenti radicali e di una fiducia illimitata nella perfettibilità umana, come esemplificato da Arthur Moeller van den Bruck. Da tale visione derivano tre concetti essenziali: l'indissolubile legame tra passato e futuro (quella connessione tra morti, vivi e non ancora nati evocata spesso da Burke), la distinzione tra ciò che è effimero e ciò che merita di essere preservato, e il concetto di eterno ritorno, che garantisce una stabilità etica e estetica capace di resistere alle diversità culturali. Correnti ideologiche contemporanee, come la cancel culture, il wokeismo e il politicamente corretto si pongono in netta opposizione proprio a questi principi.

Il conservatorismo deve sapersi adattare alle specificità nazionali, cercando sempre di ritagliarsi uno spazio politico e una rappresentanza partitica, evitando la trappola della fossilizzazione ideologica. Pur conservando una struttura teorica unitaria, assume infatti sfumature diverse in base al contesto nazionale. Germania e Italia, ad esempio, si distaccano dal modello statunitense, influenzato dall'economia austriaca, preferendo un'impronta più sociale e una maggiore attenzione alle politiche del welfare. Il conservatorismo britannico, invece, si fonda su un equilibrio tra libertà e ordine, radicato nella tradizione della common law.

Perché, allora, in Italia questo percorso si è rivelato così complesso, producendo risultati significativi quasi esclusivamente sul piano culturale, ma mai su quello politico? E perché, nel dibattito pubblico, il termine «conservatore» è spesso caricato di connotazioni negative? Una parte della risposta risiede nel fatto che la tradizione è stata ridotta a una mera nostalgia del passato, piuttosto che essere concepita come un patrimonio vitale da preservare e adattare ai tempi. Ma poi: quale tradizione? Paradossalmente, le antiche fazioni che si sono fronteggiate negli ultimi due secoli, a partire dallo storico conflitto tra controrivoluzionari e liberali, oggi si ritrovano accomunate in un variegato pantheon conservatore. Questa caratteristica tutta italiana, unita a una secolare frammentazione e al ritardo nell'unificazione nazionale, insieme alla questione mai del tutto risolta del fascismo, ha ostacolato la nascita di un grande partito conservatore di massa, forse in modo irreversibile. O forse no, come suggerisce Francesco Giubilei nel suo imponente volume L'Italia dei conservatori (Giubilei Regnani), in cui analizza le radici di questo fenomeno con un approccio originale, capace di stimolare il dibattito e, forse, anche qualche polemica. Il suo excursus si snoda infatti attraverso duemila anni di storia, dalle origini nell'antica Roma al cattolicesimo medievale, dalla Serenissima alla reazione contro la Rivoluzione francese, rintracciando evidenti cenni di conservatorismo in ogni fase.

Il punto cruciale resta, però, sempre lo stesso: capire se, in Italia, sia rimasto un fenomeno intellettuale, mai del tutto integrato nei partiti politici, o se, magari, al contrario, i tentativi dell'attuale governo di dar vita a un autentico fronte conservatore possano, almeno nel medio periodo, dar vita ad una struttura politica di riferimento. In questo contesto, l'opera di Giubilei, che delinea limiti, differenze e parametri attraverso un'ampia digressione storica, può rivelarsi indispensabile per comprendere la portata attuale della sfida.

Due sono, forse, gli elementi principali su cui fondare il discorso sull'applicabilità politica. Giubilei inserisce il conservatorismo italiano nel contesto latino, in continuità con le tradizioni spagnola e francese, nettamente distinto dal modello anglosassone. Questa specificazione è cruciale, poiché esclude qualsiasi tentativo di scopiazzatura esterofila. Un tratto distintivo di questa tradizione latina e/o mediterranea è la solida identità culturale, profondamente radicata nel cristianesimo, in particolare nel cattolicesimo, come attestano pensatori di diverso orientamento, da Vico a Cuoco, da Leopardi a Mosca e Del Noce. È proprio questa fusione tra tradizione e fede che ha conferito al conservatorismo italiano un carattere unico. Italia e Spagna, ad esempio, condividono radici cristiane profonde, un forte legame con la famiglia e una particolare enfasi sull'identità nazionale. Il pensiero di Juan Donoso Cortés, pur parallelo ma non coincidente con quello di Burke, si sviluppa da una prospettiva cattolica, avvicinandosi alla tradizione controrivoluzionaria italiana. Allo stesso modo, in Francia, figure come Chateaubriand e de Maistre hanno avuto una forte influenza sul nostro conservatorismo. Il secondo passaggio vede Giubilei tracciare un quadro delle affinità e delle differenze tra liberalismo e conservatorismo, due correnti che, nell'odierno dibattito pubblico, sembrano quasi sovrapporsi. Mentre il liberalismo pone l'individuo al centro, il conservatorismo si concentra sulla tutela dell'identità collettiva e sul rispetto delle istituzioni. Esso non può essere ridotto a una mera nostalgia del passato, e deve essere inteso come una prospettiva politica capace di armonizzare il cambiamento con la continuità. E se i liberali concepiscono l'identità come universale, per i conservatori i diritti non sono assoluti, ma legati alle tradizioni di ciascun popolo. Infine, in campo economico, pur sostenendo il libero mercato, il conservatorismo rifiuta un laissez-faire indiscriminato, preferendo una regolamentazione che si ispiri al principio di responsabilità sociale.

Infine: i conservatori non sono contrari

all'Europa. E, a tale proposito, oltre al libro di Giubilei, meriterebbe maggiore attenzione il Manifesto per l'Europa, scritto nel 2017 da pensatori come Scruton, Brague, Legutko e altri. Altro che Manifesto di Ventotene!

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