Il consigliere leghista suicida per firme false «Ho aiutato un amico»

MilanoUn’ultima lettera, prima di gettarsi nel vuoto. È un biglietto lasciato da Pier Luigi Ablondi, il consigliere provinciale della Lega a Parma che si è suicidato lo scorso 20 aprile. Poche righe in cui spiega di aver autenticato firme ritenute false nelle liste per le elezioni amministrative del prossimo 6-7 maggio «per fare un favore a un amico». Chi sia questa persona, Ablondi non lo scrive. Resta il fatto che il politico si è tolto la vita, forse proprio temendo di essere coinvolto nell’inchiesta della Procura del capoluogo emiliano, che ipotizza il reato di falso in atto pubblico dopo la denuncia dell’ex pallavolista Claudio Galli, il cui nome è stato incluso a sua insaputa negli elenchi dei firmatari per il partito «La Destra». Ma da Parma a Milano, c’è un’altra inchiesta che riguarda centinaia di firme considerate fasulle. E che registra un indagato eccellente: il presidente della Provincia, Guido Podestà.
È un fascicolo aperto dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo sull’autenticazione di oltre 900 sottoscrizioni per le liste a supporto del governatore lombardo, Roberto Formigoni, in occasione delle regionali 2010, e che in uno stralcio chiuso ieri chiama in causa proprio Podestà, all’epoca coordinatore regionale del Pdl, con l’accusa di falso ideologico continuato e pluriaggravato. A dare la notizia è lo stesso presidente della Provincia. Sul suo sito personale spiega di aver ricevuto l’avviso di garanzia, ma ribadisce «la mia estraneità ai fatti che mi vengono contestati. La gestione esecutiva e gli adempimenti amministrativi della presentazione delle liste non era di mia diretta competenza, in quanto sempre stata di responsabilità di un apposito ufficio del partito». A tirarlo in ballo è anche Clotilde Strada, viceresponsabile elettorale del Pdl lombardo e assistente del consigliere regionale Nicole Minetti (ora imputata nel processo Ruby), la cui candidatura provocò più di un imbarazzo al Pirellone. Strada ha raccontato ai pm che «per quanto atteneva di coordinare i certificatori per la raccolta delle firme tale compito fu gestito direttamente da Podestà e dall’onorevole Massimo Corsaro». Secondo i pm, l’allora coordinatore regionale sarebbe stato il «promotore del reato di falso ideologico», impartendo istruzioni proprio alla Strada, la quale a sua volta le avrebbe girate ai consiglieri provinciali Massimo Turci, Barbara Calzavara, Marco Martino e Nicolò Mardegan, tutti sotto inchiesta. «Quanto attinente agli atti - sottolinea Podestà - non ha nulla a che fare con l’attività della Provincia, sono sereno e convinto che i dovuti chiarimenti saranno presto forniti e mantengo la mia fiducia nell’opera della magistratura».
Ma la tegola che ha colpito il presidente della Provincia rimbalza inevitabilmente sulla testa di Roberto Formigoni, già alle prese con la bufera della sanità privata scoppiata con le indagini sul San Raffaele e sulla fondazione Maugeri. In Regione, il Pd attacca il governatore: «L’ennesima botta per Formigoni». «Il castello di falsità su cui Formigoni ha costruito la sua lista sta crollando», rincara la dose l’IdV. Il Pdl, invece, fa quadrato.

«Quando si dice “il caso” - ironizza il consigliere comunale Andrea Mascaretti - l’avviso di garanzia arriva proprio a una settimana dalle amministrative». E lui, Formigoni? Solo poche parole per farsi scivolare addosso l’ennesima grana. «A Podestà esprimo convinta solidarietà, sono sicuro che sarà chiarita l’insussistenza di ogni sostanza di reato».

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