Coppi e Bartali finiscono in tribunale. Da morti

Il tribunale civile di Milano riac­cende la rivalità: la Bianchi, con cui Coppi ha celebra­to le sue grandi imprese, non potrà più produr­re, commercializzare, pubblicizzare e utilizzare il marchio Legnano, che era un tutt’uno con le vittorie di Bartali

Coppi e Bartali finiscono in tribunale. Da morti

Una decisione del tribunale civile di Milano riac­cende a distanza di anni la rivalità tra Coppi e Barta­li: la Bianchi, con la quale Fausto Coppi ha celebra­to le sue più grandi imprese, non potrà più produr­re, commercializzare, pubblicizzare e utilizzare in qualsiasi modo il marchio Legnano, che a metà del secolo scorso divenne un tutt’uno con le vittorie di Bartali e che proprio la Bianchi prese in locazione una ventina di anni fa. Bianchi-Legnano, Coppi-Bartali: l’epopea non è ancora terminata 

Un altro attacco di Coppi, un altro contropiede di Bartali. Un altro sgarbo di Coppi, un’altra vendetta di Bartali. È scritto nella storia d’Italia che questa bella storia non debba finire mai. Mentre loro si divertono ormai da tanto tempo nella beatitudine dei percorsi celesti, quaggiù i loro miti perpetuano ineffabilmente la grande rivalità, la madre di tutte le rivalità. La Bianchi, talmente leggendaria da diventare uno specifico colore sulla tavolozza dei meccanici (celeste Bianchi), deve smetterla di utilizzare il marchio del nemico, quella Legnano a sua volta titolare di uno specifico colore sulla tavolozza, il verde Legnano. Cose da tribunale. Tutto lascia pensare che questa volta debba vincere Bartali, ma non è di certo chiusa qui: c’è già un ricorso, tra un mese la questione si riapre con un nuovo attacco e un nuovo contrattacco, in un eterno testa a testa che non può cessare mai…
La ragazzina che nelle canzoni chiede «chi erano mai questi Beatles», o magari un suo fratello minore, potrebbe un giorno chiedere anche «chi erano mai questi Coppi e Bartali». La loro epopea comincia ad essere molto distante nel tempo, i cantori di quei giorni e di quelle atmosfere non ci sono più, o comunque non sono quasi più in grado di raccontare, schiacciati dal peso degli anni e di una memoria svanita.
Eppure sarebbe importante che a quella ragazzina qualcuno sapesse rispondere sempre, almeno saccheggiando i filmati d’archivio e l’immane numero di libri edificati sull’indimenticabile epoca: è come riaprire un grande mausoleo della fantasia e della tenerezza, dedicato non certo - comunque non solo - a una qualunque lotta sportiva, ma alla sanguinante e incredibile Italia della ricostruzione, con tutto l’indimenticabile patrimonio di costume, di valori, di sogni a fare da splendida cornice.
Coppi e Bartali erano la semplificazione popolare di un bipolarismo che ancora l’Italia nemmeno immaginava, ma che da sempre sgomita e si agita nel suo Dna. In quella lunga e difficile stagione, la spaccatura tra compagni e chierici finiva per riversarsi anche sui due campioni della bicicletta, quando la bicicletta era il mezzo di locomozione più diffuso sulle strade dell’afflitta nazione. Bartali era pio e devoto, estroverso e spartano, sempliciotto e arguto, bigotto e castigato. Coppi era dubbioso e disilluso, snob e raffinato, fragile e introverso, rubacuori e disinibito. Bartali era la fatica e il carattere, Coppi era l’estro e il talento. Bartali era la famiglia e i sacri valori, Coppi era l’amor sofferto e gli eterni dubbi. Bartali era la tradizione, Coppi era il cambiamento. Bartali era ieri, Coppi era domani…
Queste due Italie a pedali si sfidavano sui passi alpini e nelle torride pianure di Francia, ci provavano in tutti i modi e non si risparmiavano colpi bassi. Neppure adesso, che riposano in pace, riescono a starsene completamente in pace: il destino li vuole continuamente contro, devono affrontarsi persino le loro biciclette. Ma rispetto alle due Italie di oggi, alle due Italie sotto gli occhi della ragazzina che chiede «chi erano mai questi Beatles», le loro Italie erano capaci ad un certo punto di cessare il fuoco e guardare più in alto. Peppone e Don Camillo, lontani dai rispettivi ultrà, riuscivano a guardarsi lealmente negli occhi, scambiandosi un sacro rispetto e una muta amicizia. Fuori dalla cultura di Guareschi, nella reale realtà dei giorni, quando Coppi morì ancora troppo giovane, per una stupidissima puntura d’insetto, in una nebbiosa mattina di gennaio, chi lo pianse con lacrime inconsolabili e sincere fu proprio lui, il suo eterno nemico, l’altra Italia che come idea di vita non aveva nulla da spartire, ma che comunque sapeva convivere e condividere.
Uniti in guerra e in pace, Coppi e Bartali hanno continuato negli anni a segnare l’immaginazione e il vissuto del loro Paese. Icone di un tempo lontano e di una società diversa, ce li siamo comunque conservati gelosamente come espressione positiva di un certo modo di battagliare, duellare, rivaleggiare. Come Coppi e Bartali, sentiamo dire ogni tanto nelle più diverse situazioni. È per esprimere l’insanabilità delle distanze, l’inavvicinabilità degli antipodi.

Ma forse e soprattutto per sottintendere la necessità dell’uno all’altro, com’è nel destino delle linee parallele: non si toccano mai, eppure sono condannate ad una corsa comune, affiancate per sempre, perdendosi nell’infinito.

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