Controffensiva del governo contro l’avanzata della Grande armée francese tra le roccaforti del capitalismo italiano. Lo stop, tutto politico, è giunto all’indomani dell’attacco di Lactalis su Parmalat ma parte dall’urgenza di fare sistema, dopo lo stallo creatosi in Edison- Edf e le mire (fallite) su Fonsai dell’accoppiata Groupama-Vincent Bollorè, a loro volta grandi azionisti di Mediobanca.
Il progetto, nelle mani del ministro Giulio Tremonti,tornerà presto sul tavolo dell’esecutivo e consiste in una normativa «anti-scalata» che ricalcherà quella con cui la stessa Parigi neutralizza gli appetiti stranieri verso le proprie imprese strategiche prevedendo la necessità di un via libera pubblico. Un doppiogioco reso evidente dall’attivismo con cui l’esecutivo francese sta intanto cercando di evitare che il gruppo lattiero Yoplait finisca agli americani di General Mills.
La mossa italiana (ieri Tremonti ha visto anche l’ambasciatore francese), complica non poco le mire di Lactalis verso Parmalat (di cui controlla l’11% con la possibilità di portarsi al 14%). Attorno alla guerra di Collecchio si sta inoltre coalizzando una possibile «operazione di sistema» sotto la supervisione di Intesa Sanpaolo. Il punto di svolta pare l’apertura, pur ufficiosa, lasciata filtrare dalla Ferrero, che avrebbe manifestato un certo interesse a valutare possibili soluzioni di matrice italiana e di lungo periodo per Parmalat. La Ferrero non commenta, ma la discesa in campo di un socio forte è proprio una delle condizioni poste da Intesa per procedere. Ca de’ Sass farà la propria parte per Parmalat ma «deve esserci un progetto industriale », aveva infatti detto nel pomeriggio l’amministratore delegato Corrado Passera.
L’altro tassello industriale potrebbe poi essere Granarolo, di cui la stessa Intesa è grande socia ma una parte potrebbe averla anche Mediobanca,anch’essa pronta a muovere solo in presenza di un piano concreto. Ma ieri hanno sventolato il tricolore anche i fondi esteri Mackenzie-Skagen-Zenit, titolari del 15,3%, che tramite l’ad in pectore di Parmalat Massimo Rossi hanno escluso «categoricamente» l’ipotesi di un accordo con Lactalis, promettendo di voler mantenere l’indipendenza e l’italianità del gruppo del latte. I fondi hanno inoltre aperto a «chiunque abbia la stessa idea», a cominciare da Intesa. Il rischio è che Parmalat diventi una filiale di Lactalis - ha proseguito Rossi ricordando che invece i fondi vorrebbero fare di Collecchio il quinto gruppo del settore al mondo. Mackenzie-Skagen-Zenit non hanno alcuna intenzione di vendere ma sono per loro natura investitori istituzionali e quindi in presenza di un’offerta congrua e di un piano industriale credibile potrebbero in prospettiva passare la mano, magari proprio alla cordata italiana.
La prima resa dei conti avverrà però all’assemblea dei soci del 14 aprile, chiamata a rinnovare il consiglio di amministrazione. Quattro gli eserciti in campo- Lactalis, Intesa, i fondi esteri e Assogestioniche hanno ufficializzato i propri candidati. La lista di Intesa si apre con l’attuale ad di Parmalat Enrico Bondi (con l’idea di affidargli la presidenza probabilmente con qualche delega) e schiera manager e imprenditori di grande peso specifico come Luigi Gubitosi (ad di Wind) e Roberto Meneguzzo (Palladio) e prevede una quota «rosa». La squadra dei fondi è invece capitanata, oltre che da Rossi, da Rainer Masera ed Enrico Salza mentre Lactalis affiderebbe Parmalat ad Antonio Sala, manager del gruppo francese per l’Italia, seguito da Marco Reboa e da Franco Tatò. Infine Assogestioni (2,28%) si affida a Gaetano Mele (ad di Lavazza).
Lo statuto di Parmalat prevede il voto di lista proporzionale (con premio di maggioranza): stando ai rapporti di forza i fondi
esteri potrebbero avere 5-6 posti, 3-4 a Lactalis, 1 Intesa e 1 ad Assogestioni. Intanto in Borsa è stata un’altra giornata da brivido: Parmalat ha guadagnato un altro 4% a 2,6 euro tra scambi per il 6% del capitale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.