Edmund Burke (1729-97) scrisse molto ma non in modo sistematico, e per questo non di rado accusato di incoerenza. Se, infatti, veniva (e viene) considerato padre fondatore del conservatorismo («Raramente nella storia del pensiero politico un sistema di idee è dipeso da un solo uomo», scrive Robert Nisbet), al contempo gli veniva rinfacciata una certa disorganicità.
Tentò di riassumere la ragioni di questo fronte critico Gianfranco Miglio quando ammise che i giudizi negativi si fondavano sul fatto che «in casa propria Burke combatteva a favore del Parlamento e contro il tentativo della Monarchia di restaurare i propri privilegi, mentre guardando alla Francia inorridiva di fronte alle dottrine e, soprattutto, alle azioni dei rivoluzionari che, di fatto, erano parlamentari che avevano dichiarato guerra a un sovrano assolutista».
La contraddizione non si è mai del tutto placata tanto da essere ridefinita nel concetto di Burke's problem. Una sorta di ossimoro persistente dove a un Burke esponente del liberalismo utilitario, che fu visione condivisa dagli studiosi nella seconda metà dell'Ottocento, si contrappone un Burke giusnaturalista, opzione invece emersa nella seconda metà del Novecento. Da una parte, l'enfatizzazione di idee tendenzialmente liberali e, dall'altra, una critica feroce alla democrazia, specialmente dopo il 1789 quando pubblica Reflections. In entrambi i casi, una ricezione delle sue idee tutta all'interno della indagine politica.
Tenta di smontare questi pregiudizi il volume di Giacomo Maria Arrigo La filosofia morale di Edmund Burke (Carocci) che ricostruisce passo dopo passo i punti di sistematicità e di intreccio tra elementi classici (la prudenza, la legge naturale), concetti moderni (la prescrizione, il senso comune) e un principio quasi contrario alla sua postura intellettuale (l'utilità) al fine di rivelare un pensiero che presenta tratti di universalità e che, dunque, non livella ma rispetta le diversità culturali.
Si tratta pur sempre di una filosofia morale che rimane sottratta alla vista. Il fatto che criticasse la ragione astratta («La politica deve essere modellata non sui ragionamenti umani ma sulla natura umana, della quale la ragione costituisce solo una parte, e non di certo la più importante»), aggiungendo che su nessuna materia politica si potesse affermare qualcosa di assoluto («La pura astrazione metafisica non si addice a questo argomento»), è tuttavia un pensiero che, seppur sempre colmo di sfumature e con un certo grado di complessità, non contraddice i ricercati tratti di universalità.
Come quando prende le difese del popolo indiano oppresso dalla Compagnia delle Indie Orientali e perciò, pur attaccato dai membri del suo stesso partito, mostra simpatia per quel popolo contro il proprio paese dal momento che «le usanze dei vari popoli non respirano che un solo spirito».Per la sua filosofia morale le tradizioni culturali sono infatti traduzioni della stessa legge morale naturale, variazioni di un unico modello morale trascendente.
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