Herder è stato a lungo ingiustamente sottovalutato, benché fosse stato lui a contribuire al risveglio intellettuale della cultura tedesca, alla crescita spirituale e alla fondazione del classicismo di Weimar.
Finalmente da qualche anno anche la nostra critica letteraria comincia a confrontarsi con la sua opera monumentale. Nel 2021 è stato pubblicato il saggio di Giancarlo Paolucci, «Vieni! Guarda e senti Dio». Teologia performativa in Herder (Quodlibet), che si sofferma sul problema della riflessione herderiana incentrata sulla costruzione di un pensiero libero dagli schematismi. Ora nella collana «Il Pensiero Occidentale» di Bompiani (pagg. 1711, euro 60) esce a cura di Elena Agazzi e Guglielmo Gabbiadini un volume imponente: Johann G. Herder, Saggi del primo periodo (1765-1787) con un ricchissimo apparato critico di introduzioni, testi e note. Un'edizione preziosa con l'originale a fronte. L'introduzione di Elena Agazzi è attenta alla ricostruzione della discussione estetico-filosofica, mentre Gabbiadini approfondisce la visione morale e politica dello scrittore, dalla vita assai movimentata. Infatti il giovane Herder (1744-1803) era pastore a Riga, ma ben presto se n'era fuggito dalla provincia baltica, allora sotto l'Impero zarista, per affrontare un viaggio di emancipazione per mare impetuoso come conferma il Giornale di viaggio del 1769, che è un testo dalla scrittura insolita, spumeggiante, ondivaga, segnale di una redenzione stilistica della lingua tedesca dalle imitazioni dal francese.
Gli scritti di quegli anni sono animati da uno spirito innovatore contro la retorica del meccanicismo dei philosophes e del materialismo razionalistico in nome di una rifondazione della cultura tedesca ancorché aperta a Rousseau e a Diderot, che Herder aveva incontrato a Parigi. Sulla scia di questi incontri, Herder comprende che poesia, filosofia, antropologia e teologia costituiscono una sintesi unica, da lui affrontata nei suoi primi saggi con uno stile travolgente che affascinò il giovane Goethe. Caso o provvidenza, fu comunque il destino a farli incontrare alla medesima locanda a Strasburgo, dove Herder, di qualche anno più grande, era costretto per una delicata (e sfortunata) operazione agli occhi a restare in camera, mentre Goethe studiava svogliatamente legge.
Il giovane poeta aveva già letto qualcosa di Herder, teologo di formazione, ma alquanto inquieto e insofferente per aver assimilato tutta la polemica culturale di Rousseau contro la civiltà. Prima del viaggio a Parigi, Herder aveva studiato nella Königsberg di Kant, ma aveva già sviluppato una radicale critica al razionalismo, influenzato da un personaggio misterioso, Johann Georg Hamann, pure lui di Königsberg, che era l'esponente di spicco del contro-illuminismo tedesco, che per i suoi testi sibillini fu essere denominato da Goethe, «il Mago del Nord». Ma Herder non fu un discepolo ortodosso di quella magia, se ne emancipò presto.
Il nucleo della sua ricerca era centrata sull'Origine del linguaggio, come s'intitola il saggio del 1772. Per Herder era pur sempre un pastore- la parola è l'atto del pensiero vivente, cosciente, che deve ritrovare la purezza originaria, scevra dalle sovrastrutture culturali. In questa ricerca giunge appunto a interrogarsi sulla lingua originaria che lui intravede nella poesia fino a considerare con un'intuizione azzardata, ma fascinosa- la Bibbia l'opera poetica per eccellenza in quanto «il più antico documento del genere umano». La lunga tradizione del pensiero luterano e pietista viene superata da Herder paradossalmente per l'impulso liberatorio risvegliato dai lumi, pur sviluppandosi rapidamente contro l'illuminismo accademico in nome di una ricerca spregiudicata.
Herder prosegue la svolta radicale di Lessing (1729-1781), il principale illuminista tedesco, che con le ultime opere oltrepassa il razionalismo aprendosi verso prospettive allora sorprendenti come la metempsicosi attraverso le convinzioni diffuse nella massoneria settecentesca, cui avevano aderito tutti, Lessing, Herder, Goethe. La lezione di Lessing, ma anche la lettura di Vico avvicinano Herder al nucleo profondo della filosofia della storia. È la storia che costituiva il superamento del razionalismo, cui Herder contrappone la concezione della Humanität, ovvero di una idea moderna, umanistica, dell'uomo come totalità (e non solo come essere razionale). Come osserva Elena Agazzi: «la visione con la quale Herder ha affrontato il ruolo dell'uomo nella storia è sempre stata precipuamente di matrice antropologica-sociale e storico-culturale, piuttosto che strettamente filosofica». Ecco che nasce l'antropologia, come ancora l'intendiamo noi oggi, con l'opera frastagliata, rapsodica, mai sistematica di Herder che va contro corrente di fronte all'accademismo tedesco.
Ma col tempo la sua verve trascinante si attenuò nella monotonia dell'ufficio di sovrintendente ecclesiastico (una sorta di vescovo) a Weimar. Era stato Goethe a suggerire al Duca di Weimar, dove si era trasferito dopo il successo del Werther, di avvalersi della collaborazione di Herder che, infatti, diventò la principale autorità religiosa del minuscolo Stato, dove rimase fino alla morte salvo intraprendere anche lui (come Goethe) l'obbligatorio viaggio in Italia, che però ahimè - non lo entusiasmò. Erano lontani dli anni del suo giovanile fervore intellettuale, quelli dello Sturm und Drang, che Goethe chiamò «la rivoluzione letteraria tedesca». Ma come ogni rivoluzione anche quella stürmeriana fu di breve durata. Negli anni di Weimar la riflessione di Herder proseguiva sul tema della lingua quale esperienza fondante della civiltà e della società; la lingua era l'esperienza aurorale che si dava all'uomo per interagire con il divino.
A Weimar gli venne eretta nel 1850, proprio di fronte alla chiesa in cui svolse per decenni la sua attività di predicatore, un'imponente statua dello scultore Ludwig Schaller, che mostra il filosofo con l'incisione del suo motto: Licht Liebe Leben (luce, amore, vita), che racchiude il suo messaggio, la sua intuizione e la sua storia, che è ancora la nostra.
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