da Roma
«Non lo ha ancora recensito nessuno, quel libro. Ma se lo recensissero... altro che la Casta!». Ieri, su questo giornale, Elio Veltri si produceva in un affettuoso e «dichiarato» spot di Italiopoli, il saggio scritto dallamico Oliviero Beha per la casa editrice Chiare Lettere di Lorenzo Fazio (246 pagine, 13,60 euro). E aggiungeva: «Leggendolo troverete anche qualche... grave marachella dellUlivo». Detto fatto, e profezia avverata. Perché dal saggio di Beha - un viaggio caustico nella politica contemporanea scritto con locchio disincantato di un progressista deluso - saltano fuori dati ed episodi che molti avrebbero voluto dimenticare.
Ieri, per esempi, Veltri ricordava la storia dellimmobiliare costituita da Antonio Di Pietro, lormai famosa An.To.Cri con cui il ministro ha affittato da se stesso a se stesso (ma con i soldi del denaro pubblico) due sedi dellItalia dei valori. Oggi, dal corposo volumetto vale la pena di citare unaltra incredibile storia. Quella del giudice Ferdinando Imposimato, esiliato nellUlivo per aver avanzato dubbi sulloperato di Romano Prodi da presidente della commissione per lAlta velocità. Beha ricorda, e non è irrilevante, che Imposimato è un magistrato di lungo corso (si è occupato anche del «caso Moro»), già parlamentare, eletto come indipendente nel Pci, poi diessino, in carica fino al 1996. Insomma, non certo il curriculum di un pericoloso berlusconiano. Ebbene, malgrado la sua indubbia appartenenza di campo, Imposimato, come racconta Beha, finisce nel tritacarne dopo aver steso una relazione parlamentare colpevole di non risparmiare né Tonino Di Pietro, né Romano Prodi.
Il primo, allora ministro dei Lavori pubblici, racconta Beha, «una volta gettato lo sguardo da inquirente sulla storiaccia delle infiltrazioni camorristiche nei lavori dei treni per la tratta superveloce Roma-Napoli, si ritrasse inorridito quasi temesse lo sguardo pietrificatore della Medusa». Il secondo è affrontato in maniera ancora più severa: «Il passato che non passa, nellItalia a misura di mafia, trova la sua catarsi nelle pagine riservate allattuale presidente del Consiglio». Come mai? «Imposimato - racconta Beha - va da Prodi, presidente del Consiglio antiberlusconiano per squadernargli una relazione istituzionale fatta di testimonianze di carabinieri, polizia, di chiunque avesse indagato sulla vicenda, cioè sui subappalti dei lavori affidati dalle imprese del giro alle organizzazioni mafiose». E interessa al premier quella mole di carte che già Di Pietro aveva ignorato? Non molto. «Sì - spiega Beha - naturalmente Imposimato sapeva benissimo che centrava lIri, di cui Prodi era stato presidente, che degli appalti era uno dei cosiddetti general contractor: ma (Imposimato, ndr) immaginava che almeno lui ne fosse fuori... In ballo cera una catena montuosa di denaro e, nemmeno troppo in fondo, i costi della politica». E invece. «Invece - racconta Beha - da quel che scrive Imposimato risulterebbe che Prodi sia due volte coinvolto, e in dosi da cavallo». Di più: «Fino al 1993 lo stesso Prodi - aggiunge Beha citando la relazione di Imposimato - aveva ricoperto la carica di garante dei lavori dellAlta velocità... lui, il presidente del Consiglio, era stato un controllore di quello scandalo. E, secondo un magistrato romano, Giuseppe Geremia, aveva fatto sì che una società da lui creata, la Nomisma, potesse beneficiare di consulenze miliardarie proprio sullalta velocità. Chiaro? Fin troppo», osserva Beha.
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