Così il lavoro diventa povertà

Mentre nei titoli dei giornali è tutto un complimentarsi di banchieri prodiani, così altrimenti discreti a incassare prebende milionarie, monsignor Bagnasco fa il vescovo e parla di poveri. Descrive un numero crescente di pensionati, persone sole, famiglie che non arrivano a fine mese, e ai quali i sacerdoti sono tornati a distribuire viveri. Come chi li ha più profondi, Bagnasco non ha il viso di chi esibisce i suoi sentimenti. Ma sotto il quadro di una madonna greca e vestita d'arancione ha gli occhi stretti da una volontà esercitata e sobria che gli sbianca il volto. E questa sua sobrietà si fa ascoltare. Non è il democratico sinistro che in un’intervista tv sotto il Parlamento blatera dei poveri, mentre li impoverisce cogli stipendi suoi e di una nomenclatura di centinaia di migliaia di verbosi. È un vescovo; per la qual cosa i suoi poveri non sono ad uso di una retorica, ma si confondono cogli umili ed i buoni. Coi miti che fanno o hanno fatto il loro lavoro, ma di denaro ne hanno generato a sé ben poco.
L'etimologia della parola rimanda al latino pauper composto di pau che sta per poco e per, tema del verbo parere che significa generare. Ed è questo che tocca il cuore, perché rimanda ad un dovere svolto comunque, al di là del compenso. Inoltre è vero: una famiglia monoreddito, senza casa sua e priva di parentele, sia giovane, sia vecchia, se la passa sempre peggio nelle grandi città. E nel Meridione gli operosi hanno ripreso a immigrare per non finire tra i reietti, e peggio che poveri, che sono circa il 15% in Campania, Sicilia, Puglia. Neanche al Sud la povertà è facile da spiegare. Ma certo in Italia non migliora la situazione di chi non è disperato, ma deve vivere solo di redditi e non ha patrimoni o parentele bastanti. L'euro dei prodiani ha infatti svalutato il lavoro rispetto ai patrimoni, benedetti dalla politica monetaria della Bce; e per di più non ci sono dazi bastanti a ripararci dai cinesi. Aggiungeteci pure le tasse e le perdite di tempo, di un'Italia che i sindacati fanno somigliare ormai alle crudeltà di Bisanzio, e si spiegherà tutto.
Insomma ha ragione Bagnasco. E certo Prodi, e il suo sistema che implica la prepotenza di banche e parassiti politici nonché sindacali, non sono rimedio. Tuttavia nelle parole del vescovo qualcosa non mi piace: chi gli ha riempito la scaletta deve forse essere un prelato giovane e di molte letture ma che respira sociologie alla moda. E troppo gli ha badato. C'è di peggio che guadagnar poco: è il non sapere quale sia la propria parte, il non avere più funzione. E questa povertà si misura male in denaro. Perché il vecchietto con 500 euro al mese e gli abiti lisi ma che si coltiva beato l'orto, e neppure si sogna di obbedire alla pubblicità, è un povero invidiabile. Come i comunisti sovietici, tayloristi in ritardo che misuravano tutto, ora troppi esperti di povertà patiscono lo stesso difetto. Oggi come ieri resta non misurabile quel peggio che è la perdita di senso e di funzione del lavoro. Si lavora sempre meno, e la percezione del proprio fare svapora e ci lascia soli; il che è una privazione, una povertà peggiore di quella monetaria. E che lo Stato e queste sinistre non potranno mai curare.

Perché essa richiede più comunità ovvero la solidarietà cosciente e voluta, cristiana e non imposta. Tasse, e più Stato, possono far felici solo gli amichetti di Prodi, e le ipocrisie dei comunisti, pentiti o no.
Geminello Alvi

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