Le malattie sono i viaggi dei poveri, diceva Apollinaire: ci strappano alle nostre abitudini, sconvolgono il ritmo della quotidianità. Però la malattia costringe a coincidere con noi stessi, a fare i conti con ciò che siamo. Quando poi la minaccia è grande un picco negativo a 4000 Hertz nell'udito, e non per il classico tappo di cerume l'elemento centripeto prevale sugli altri e invade il campo del pensabile. Il romanzo di Mauro Covacich, L'avventura terrestre (Nave di Teseo, pagg. 293, euro 20) si apre con una visita medica allarmante e si chiude con una risonanza magnetica. Fra i due eventi, bisogna fare in modo che l'esistenza non sia resa impossibile dalla spada di Damocle che incombe. Il protagonista - fra parentesi: meglio evitare termini come autobiografia o peggio ancora autofiction - vive a Roma con la compagna, si reca in tram nei quartieri periferici dove tiene conferenze su Kafka, corre per tenersi in forma. E tuttavia, nella personale terra di nessuno in cui è finito, il presente richiama a sé il passato, lo sollecita in tutti i suoi aspetti, lo costringe a stabilire che ruolo abbia avuto ogni momento significativo.
Le estati passate sulle spiagge dell'Adriatico sono state un preludio alla vita adulta o semplice preistoria? Gli studi universitari hanno fuorviato un'esistenza vocata ad altro oppure hanno garantito un'evoluzione destinale? Il rischio di morire origina uno snodo che articola passato e presente in un solo punto, con una sorta di ingiunzione ad appropriarsi dell'intera vicenda individuale. Risulta efficace, perciò, l'espediente narrativo di sdoppiare lo sguardo del narratore fra il sé giovane e quello maturo, quest'ultimo raffigurato come un demone socratico, un guardone che al mare si intrufola nelle cabine o un minatorio memento mori. Lo scarto rispetto agli altri romanzi dell'autore triestino è di grado: tornano i temi dei romanzi precedenti, dalle estati passate nella Marca Giulia all'amore per la corsa e, ovviamente, per la letteratura, ma esaltati dalla lente di un inedito radicalismo. Ora come non mai la prosa di Covacich manda riflessi cupi, corruschi, come se la realtà fosse immersa in un liquido denso e non del tutto trasparente.
Romanzo-saggio intimo dove la riflessione filosofica e morale, spesso profonda o sorprendente - belle le pagine in cui si azzarda in modo convincente un'analogia fra il castello di Kafka e il proprio corpo - L'avventura terrestre si avvolge intorno all'esistenza minacciata, nonché agli appigli che la vita orgogliosamente offre anche o forse soprattutto nelle situazioni più drammatiche.
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